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Giuseppe Gioachino Belli
Sonetti romaneschi

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1102. Er parlà cchiaro

 

Ôh, vvolete sentilla1 a la bbadiale,2
e cche vvuprimo3 er core schietto schietto?
Che vvoi fussivo un brutto capitale4
ggià l’avémio maggnato5 da un pezzetto.

 

Quer che ppoadesso masticamo male6
è cc’una scerta mmaschera7 scià8 ddetto
che vvingeggnate puro cor zoffietto9
pe ffà un giorno la fin de le scecale.10

 

O ssii caluggna o nnò, cquesto11 io nun c’entro.
Er cert’è cc’un brigante12 com’e vvoi
quanno che vva a ssoffià13 sta in ner zuscentro.14

 

O ssii caluggna o nnò, vvisscere mie,
questo ve pòzzo15 assicurà, cche a nnoi
nun ce va a ssangue er zangue de le spie.

 

16 marzo 1834

 




1 Sentirla.

2 Alla badiale: qui, per «chiara».

3 Apriamo.

4 Brutto capitale: cattivo suggetto.

5 L’avevamo mangiato: l’avevamo compreso.

6 Masticar male: patire a mal-in-cuore.

7 Maschera, per «persona occulta».

8 Ci ha.

9 Ingegnarsi col soffietto: fare la spia.

10 La fin delle cicale, che cantano cantano e poi crepano. Proverbio.

11 Intendi: in questo.

12 I nomi di liberale e di brigante equivalgono oggi presso a poco alle distinzioni de’ Guelfi e Ghibellini de’ nostri atavi.

13 Soffiare: vedi la nota 9.

14 Nel suo centro.

15 Vi posso.

 

 






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