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Giuseppe Gioachino Belli
Sonetti romaneschi

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1106. Trist’a cchì ccasca1

 

Specchiamose2 in ner povero Marchese,
e imparamo3 chi ssei, monno mazzato.4
Ddà ddà, nnun ce n’ha ppiú. Bbe’, cchi ha sscialato
jarimprovera lle troppe spese.

 

E allora avessinteso5 per paese...
Chi, er rifresco era scarzo e sscellerato:
chi, er palazzo era male ammobbijjato:
chi, cce voleva ppiú ccannele accese!...

 

Quanno dài da maggnà, ddài sempre poco.
Casca in miseria, e ttutti: «Eh nnaturale:
accusí aveva da finì er ber gioco».

 

, ppovero padrone, hai fatto male
a mmannà6 la tu’ robba a ffiamm’e ffoco
per chi inzino7 t’inzurta8 a lo spedale.

 

17 marzo 1834

 




1 Tristo chi casca.

2 Specchiamoci.

3 Impariamo.

4 Mondo iniquo.

5 Avessi tu udito. Il verbo udire è a’ Romaneschi affatto ignoto, e cosí l’ascoltare. Senti (sentire) esprime sempre la sensazione venuta per gli orecchi. Del verbo intendere poi, servonsi in tutti i tempi e i modi nel suo vero senso; al participio però, inteso, cambia subito significazione, non esprimendo mai che una sinonimia perfetta di sentito per udito.

6 Mandare.

7 Sino.

8 T’insulta.

 

 






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