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Giuseppe Gioachino Belli
Sonetti romaneschi

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1178. La lègge1

 

La lègge a Rroma sc’è,2 ssori stivali:
io nun ho ddetto mai che nun ce sia:
ché er Governo ha ttrescent’una scanzia
tutte zeppe de bbanni-ggenerali.3

 

E mmanco vederete caristia
d’abbati, monziggnori e ccardinali
giudisci de li sagri4 tribbunali,
da impiccavve5 sur detto d’una spia.

 

La mi’ proposizzione è stata questa,
c’un ladro che ttiè a mmezzo chi ccommanna
e ccià6 donne che ssarzino la vesta,

 

rubbassi7 er palazzon de Propaganda,8
troverete er cazzaccio9 che l’arresta,
ma nun trovate mai chi lo condanna.

 

8 aprile 1834

 




1 Pronunziata colla e larga, come leggo da leggere.

2 Ci è: c’è.

3 Cobandi-generali, leggi effimere e di circostanza, consistenti in una farragine di fogli affissi in varii secoli e sotto varii costumi, si è sino ad ora giudicato in materia criminale. L’arbitrio vi si trovava come nel suo proprio regno. Oggi però è stato pubblicato un cosí-detto Codice criminale, i di cui beneficii si potranno riconoscere dal tempo e dalle correzioni.

4 Qui tutto è sagro, anche il tribunale che condanna a morte.

5 Impiccarvi.

6 Ci ha, per semplicemente «ha».

7 Se rubasse anche.

8 La decana delle Propagande europee.

9 Lo stolido, il semplice.

 

 






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