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Giuseppe Gioachino Belli
Sonetti romaneschi

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1236. La Compaggnia de Santi-petti

 

«Mattia! chi bbestie sciai1 nell’Osteria
che sse senteno2 urlà ccome li cani
«Sciò3 l’Arcàdichi4 e Argòlighi5 romani,
che un po’ ppiaggneno e un po’ ffanno alegria».6

 

«E cche vvò ddì Arzigoghili, Mattia
« ddì: ggente che ssa; bboni cristiani,
che ssullarco dell’Arco-de-Pantani
te sce ponno stampà una libbraria».

 

«Ma cqui cche cce sta a ffà ttutta sta soma
de Cacàrdichi o ddantro7 che jje dichi
«Fa una maggnata perch’è nnata Roma».8

 

«Ahà,9 ho ccapito: li Santi-Petti,
che ttra lloro se gratteno,10 e l’Antichi
li suffragheno a ffuria de fiaschetti».11

 

23 aprile 1834

 




1 Ci hai.

2 Si sentono.

3 Ci ho.

4 Gli Arcàdici.

5 Archeologi.

6 Che ora piangono, ed ora, ecc.

7 O d’altro.

8 Pranzo di Arcadi ed Archeologi per l’anniversario del Natale di Roma.

9 Ahà, vale «sì, sì, bene, bene».

10 Si grattano.

11 Agli indizii dati dall’oste al nostro romanesco pare aver lui associata la notizia che doveva avere di un sonetto del di lui padrone sulla morte di Geronimo nostro, uno della Compagnia de’ Santi-petti, avvenuta nel giorno quindici di aprile 1834, cioè pochi prima del banchetto genetliaco, del quale si parla. Il sonetto necrologico è il seguente, che noi qui diamo in forma d’illustrazione con appresso l’aggiunta di alcuni schiarimenti:

 

In morte di Geronimo nostro

 

O Santi-petti, o primi arcadi eroi,

d’ogni savere e gentilezza ostello,

in cui lodiam quanto di raro e bello

formar seppe Natura e prima e poi:

 

spenta è la luce che mostrava a noi

carità benedetta di fratello

sulla omerica fronte ove il suggello

fu di spregio d’ognun fuor che di voi.

 

Levate alto gli omèi, le genitali

blandizie vostre, e i modi lusinghieri

onde fra voi vi divolgate uguali.

 

E come già rendeste allo Alighieri,

date suffragio a lui di Parentali

fra il pianto, rosolacci ed i bicchieri.

 

È celebre il Symposium seculare celebrato il 14 settembre 1821, all’osteria del Ponte-Milvio, dalla romana compagnia dei Santi-petti, in commemorazione della morte di Dante, accaduta in quel giorno, cinque secoli prima. Essendo, fra le libazioni molte e gli onesti parlari, scomparso d’improvviso Geronimo nostro, e da tutti i Simposiasti chiedendosi: «Ov’è elli? Ov’è elli?», indi a poco ei ritornò, pieno il grembo di fiori da orticheto, gridando quanto piú alto sapeva con quella soavissima voce: «Manibus date lilia plenis». E cosí ne gittò contro un busto del poeta: mentre gli inteneriti fratelli, colle braccia al petto incrocicchiate e colli torti, lagrimavano di quella inspirazione del santopetto Geronimo, facendo i meglio pietosi visacci che ad occhio umano sia dato vedere su questa misera terra. Quindi, per la differenza di colore fra i gigli e i rosolacci si fermò la famosa distinzione del purpureo e del porporino, di che molto onore ebbe a venire a questo dolce nido della patria e allo italo nome. (Vedi la Lettera di Luigi Biondi a Salvador Betti suo: Roma, 1821). Veramente però il pranzo pel Natale di Roma non seguí all’ostetia come quello de’ Parentali di Dante, ma nel luogo di cui parlerà il sonetto seguente.

 

 






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