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Giuseppe Gioachino Belli
Sonetti romaneschi

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1251. La festa de San Nabborre1

 

Fatta ’na spizzicata2 de bbaruffa3
co li sordàti, pe ppassà le porte,
potetti io puro4 avé la bbella sorte
de sentí in chiesa quattro soni auffa.5

 

La musica era un merangolo-forte
da dílla6 co raggione Opera-bbuffa:
e ccantò mmessa monziggnor Camuffa,7
uno de quelli che ccondanna a mmorte.

 

Da Diacono sce fesce Don Ortica,
quello che quarche vorta se8 conzagra
una libbra de grosta e de mollica.9

 

E ’r zudiacono fu cquella faccia agra
de Don Pio Scamonèa, che ttiè la fica10
pe mmediscina ar mal de la polagra.

 

27 aprile 1834

 




1 Al 12 di luglio.

2 Alquanto di, ecc.

3 Lite.

4 Io pure, anch’io.

5 Vedi la nota... del Sonetto...

6 Dirla.

7 Nome finto, sotto il quale si vela il celebrante, che fu uno de’ prelati votanti del Supremo Tribunal criminale della Sagra Consulta.

8 Si.

9 Una libra di pane. Ciò dicesi praticato da qualche sacerdote di scrupolosa coscienza per reficiarsi avanti la messa, senza frangere il digiuno naturale.

10 Vedi il son. La madre, ecc.

 

 






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