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Giuseppe Gioachino Belli
Sonetti romaneschi

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1414. 3 Gennaio 1835

Invitato io dalla S.a Principessa Zenaide Volkonski a un pranzo ov’era commensale il poeta Russo Viasemski, ringraziai, ma recatomivi al levar delle mense fui pregato di far conoscere al Principe un saggio del mio stile romanesco. Per lo che cominciai dai versi seguenti.

 

Sor’Artezza Zzenavida Vorcoschi,
perché llei me vò espone a sti du’ rischi
o cche ggnisun cristiano me capischi
o mme capischi troppo e mme conoschi?

 

La mi’ Musa è de casa Miseroschi,
dunque come volete che ffinischi?
Io ggià lo vedo che ffinissce a ffischi
si la scampo dar zugo de li bboschi.

 

Artezza mia, nojantri romaneschi
nun zapemo addoprà ttermini truschi,
com’e llei per esempio e ’r zor Viaseschi.

 

Bbasta, coraggio! e nnaschi quer che nnaschi.
Sia che sse sia, s’abbuschi o nnun z’abbuschi,
finarmente poi semo ommini maschi.

 

Questo non entri nella raccolta come contrario al suo spirito.

 

 

 




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