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Giuseppe Gioachino Belli
Sonetti romaneschi

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189. Er pranzo de li Minenti1

 

C’avessimo?2 un baril de vin asciutto,3
du’ sfojje4 co rragajji4a e ccascio tosto,5
allesso de mascello,6 un quarto7 arrosto,
e ’na mezza grostata:8 ecchete tutto!

 

Ce fussi stato un frittarello, un frutto,
o un piattino ppiú semprice e ccomposto!...
Cert’antra ggente che ce stiede accosto
c’ebbe armanco deppiú fichi e presciutto!

 

Si ppoi vôi ride, mica pan de forno
ce diede, sai? ma ppagnottoni a ppeso,
neri arifatti9 de scent’anni e un giorno.

 

Oh, tu azzecchece10 un po’ cquanto fu speso!...
Du’ testonacci11 a ttesta, o in quer contorno!12
E cce vonno riannà?13 Bravo, t’ho ’nteso!14

 

E io che mm’ero creso15
d’impiegà un prosperuccio-lammertini,16
ciò impeggnato a mmi mojje l’orecchini.

 

Terni, 8 ottobre 1831 - De Pepp’er tosto

 

 




1 Minenti (da eminenti): così chiamansi coloro che vestono l’abito proprio del volgo romanesco.

2 Avemmo.

3 Vin brusco.

4 Lasagne.

4a Visceri di pollo.

5 Cacio pecorino.

6 Carne di macello dicesi la «carne grossa».

7 Quarto, assolutamente, è un «quarto di bacchio o abbacchio, cioè agnellino da latte».

8 Specie di sfogliata.

9 Stantii.

10 Indovinaci.

11 Testone è una moneta d’argento da tre paoli.

12 Incirca.

13 Riandare, ritornare.

14 Così dicesi da chi non vuol far nulla di quanto udì.

15 Creduto.

16 Vedi la nota… del Sonetto…

 

 






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