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Giuseppe Gioachino Belli
Sonetti romaneschi

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748. La mojje martrattata

 

Porco bbú e vvia,1 tu cce sei stato a ccena,
e a mmé ’na pulentina rada rada
m’ha da serví de semmola e de bbiada,2
e mme fai puro3 la cantasilena!4

 

E cche! mm’hai trova5 in mezzo d’una strada,
io che tte fo da Marta e Mmadalena?!6
Ma abbada7 veh, pporcaccio a ppanza piena,
c’una le paga tutte, Angiolo: abbada.

 

Io sto a ccroscetta,8 e llui torna acciuffato9
co ’ggni sorte, pe ddio, de mastramucci!10
Ah! nnun fà11 ccorna a tté ppropio è ppeccato!

 

Sta’ attenta, fijjo,12 perch’io sarto er fosso.13
Hanno ggià uperto l’occhi li gattucci:14
io fo tiratte15 er cazzo ar pettorosso.16

 

Roma, 15 gennaio 1833

 




1 Bu e via, cioè bu e quel che segue della parola: insomma, senza complimenti, buggerone.

2 D’ogni e solo cibo.

3 Pure.

4 Cantilena: qui, per «brontolio».

5 Trovata.

6 Ti servo in ogni aspetto; da moglie e da fantesca.

7 Bada.

8 A digiuno: dal far la croce sulle labbra col pollice.

9 Accipigliato.

10 Stravaganze.

11 Fare.

12 Le donne si servono del participio feminino, parlando anche ad uomini.

13 Rompo il freno.

14 Mi sono illuminata.

15 Ti fo tirare.

16 Tirare il cazzo al pettirosso, o a pettirossi: vale «morire».

 

 






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