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Giuseppe Gioachino Belli
Sonetti romaneschi

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773. Chi ha ffatto ha ffatto

 

Non piussurtra,1 Anna mia: semo a lo scorto:2
è spiovuto er diluvio de confetti.
Ecco li schertri3 a ddà a li moccoletti
l’urtimo soffio. Er carnovale è mmorto.

 

Già ssona er campanon de lo sconforto,4
e ggià st’acciaccatelli5 pasticcetti6
vanno a ccasa a ordinà li bbrodi stretti
d’orzo, ranocchie e ccicorietta d’orto.

 

E ccurri, e bballa, e bbeve, e ffotte, e bbascia!
Ggià ssò ttutti scottati: ma stasera
da la padella cascheno a la bbrascia.7

 

Domani è la manguardia8 de le Messe
co la pianeta pavonazza e nnera,
domani ar Mementò-cchià-ppurvissesse.9

 

Roma, 17 gennaio 1833

 




1 Non plus ultra.

2 Siamo al fine.

3 Carabinieri pontifici, successori dei gendarmi francesi, chiamati scheletri dal popolo, a cagione degli alamari bianchi che, sul principio della loro instituzione, portavano attraverso al petto.

4 L’ultima sera di carnevale, all’un’ora di notte, principia a suonare la campana che avverte il popolo della predica del giorno seguente, e così continua per tutta la quaresima.

5 Infievoliti.

6 Zerbini.

7 Proverbio, dinotante «andare di male in peggio».

8 Vanguardia.

9 «Memento homo, quia pulvis es», etc.

 

 






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