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892. Li miseroschi1
Che vvor dí sto succhià, bbrutti
paíni?2
Che sso, mmai ve rodessi3 er terenosse!4
Sò ffía5 de bbona madre, e a mme le sbiosse6
nun me le sona chi nnun cià7 cquadrini.
Co nnoi li scarzacàni?8
heh heh, cche ttosse!9
che ccatarro da marva10 e zzuccherini!11
Sori sfrizzoli12 agretti e ttenerini,13
cqua nun c’è ppasso c’a le bborze grosse.
Si
sse metteno14 ar torchio li corpetti,
nun ce sprèmeno l’arma d’un baiocco
da sfamasse15 a ppatate e a ggrasscioletti(12)
e
cce viengheno16 a ddí: ssucchia sto cocco!
Succhiatelo tra vvoi co li culetti,
contentanno17 accusí mmànico e ffiocco.18
Roma, 12 febbraio 1833
1 Miserabili, detti
così in via di scherno.
2 Zerbini.
3 Rodesse.
4 Le ossa: voce tratta
dal pater-noster che termina nella bocca del popolo «e tterenosse inducasse in
tentazione», ecc.
5 Figlia.
6 Colpi
di Venere.
7 Ci ha: ha.
8 Scalzi per
miseria.
9 Pretensione, vanità, ecc.
10 Malva.
11 Vedi la nota... del Sonetto...
12 «Grascioletti»;
quel che rimane della torcitura della sugna, bollita onde estrarne il
distrutto. Sono insomma i così detti sfrizzoli stretti da torchio in un
masso, che, tagliati e venduti a fette, mangiansi dal volgo con una schifosa
avidità. Si dà nome di sfrizzolo a persona magra della persona e
asciutta di danaro.
13 «Agri e teneri», cioè guitti,
miserini.
14 Se si mettono.
15 Sfamarsi.
16 Vengono.
17 Contentando.
18 Vedi i Sonetti…
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