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1096. Li Carnacciari1
 
Nun
ciannassi2 a cquest’ora ar Monistero,
ché cquesta è ppe le Madre ora canonica
de curre3 a ddà l’assarto4 a la
bbucconica5
con una lanca6 da lupo-scerviero.
 
Figúrete
che jjeri quela Monica
che jje premeva tanto un gatto nero,7
ar zentí8 la campana, è ppropio vero,
se sgarrò9 ppe scappà ttutta la tonica.
 
Si10
ttu jje porti adesso la carnaccia,
nun ze’ arrivato e ggià la portinara
pijja la porta e tte la sbatte in faccia.
 
Piú
ppresto,11 quanno mai,12 vacce magara13
a or14 de Coro, e ggnisuno te caccia.
Impara, fijjo, a stà in ner Monno, impara.
 
16 marzo 1834
 
1 Girovaghi
mercatanti di carne di carogna, per cibo di gatti. 
2 Non
ci andassi: non ci andare. 
3 Di correre. 
4 A
dar l’assalto. 
5 Al cibo. Questa voce burlesca usata anche dalle classi superiori, vanta
derivazione nientemeno che classica: viene cioè dal vocabolo Buccolica di
Virgilio Marone, per la affinità del suono con quello di bucca, bocca.
6 Bramosia. 
7 I carnacciai rubano
e vendono gatti: e le monache hanno anch’esse le loro innocenti predilezioni
pe’ vari pelami di quelle bestiuole. 
8 Sentire per
«udire». 
9 Si lacerò. 
10 Se.
11 Più presto, per «piuttosto». 
12
Quando mai: al piuppiù. 
13 Vacci magari. 
14
Ad ora, ecc.
 
 
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