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1105. Er portoncino
Caso1
volessi uprí cquarc’ostaria
bbisoggna sempre procurà, Ffichella,
che llí accosto ce sii ’na portiscella,
pe n’essempio, ecco llà, ccome la mia.
Questa
te serve ggià per annà via:
però la ppiú2 rraggione de tienella3
è ppe ffà entrà la ggente in ciampanella4
la festa, e ccojjonà la Pulizzia.
Chi
ccià5 sta porta, se po’ ddí a ccavallo.6
Si ppo’7 er fruss’e rrifrusso de la ggente
dàssi8 a sull’occhi e tte cojjessi9 in
fallo,
tu nun te stà10 a
smarrí: nun ce vò ggnente.
Bbast’a ttoccà la mano11 ar maresciallo12
e mmannà13 un bariletto ar Presidente.14
17 marzo 1834
1 Caso-mai: se mai.
2 La maggior.
3 Tenerla.
4
In fraude. Imperocché è legge che alla mattina de’ giorni festivi, niuna
bottega (e Dio guardi le osterie ed i caffe!) possa tenersi aperta durante le
ore degli uffici divini. Multe, carcerazioni ed altre pene ad arbitrio,
seguono subito il fallo, sin minus, ecc.
5 Ci
ha.
6 Essere a cavallo, vale: «aver
conseguito l’intento».
7 Se poi.
8 Dasse.
9
Cogliesse.
10 Non
ti stare.
11 Toccar la mano, cioè: «fargli
sdrucciolare una moneta».
12 Al maresciallo de’
carabinieri, succeduti, mutato nomine, agli antichi gendarmi.
13 Mandare.
14 Al Presidente regionano
di polizia. Anche questi quattordici magistrati sono gli eredi, mutato
nomine, delle attribuzioni dei già Commissarii. Vedi
il Sonetto... Così i Ricevitori son divenuti Preposti, ecc.,
e l’odio della cosa si è estinto sotto la mutazione del nome.
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