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Giuseppe Gioachino Belli
Lettere a Cencia

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Alla Nobile e Gentil Donna

Sig.ra Vincenza Perozzi, N.a March.a Roberti

Macerata

per Morrovalle

Di Terni, 19 settembre 1839

Gentilissima amica,

Ho puntualmente avuto in questa città la carissima vostra 11 corrente. Le ragioni che mi adducete a giustificazione del vostro silenzio dopo partita di Roma, mentre sono obbligantissime, non mi sembrano regger molto al paragone in cui mettete il tacer vostro col mio del 1837 durante il cholera. Quello era per tutti un tempo di confusione e di stordimento: per me poi di vera agonia, stanti i disastri miei personali venutisi ad aggiungere ai pubblici per gettarmi in un oceano di tempesta. Voi potevate, è vero, sentirvi in pena pel dubbio della mia salvezza tra quel terribil flagello, ma pure io qualche volta vi scrissi. In qualunque modo però andasse la faccenda, sapete pure che nel recente vostro soggiorno a Roma io vi descrissi il mio stato e di corpo e di spirito in quell’epoca sventurata. Quando io vi ho assicurata che mi mancava sino il tempo per dormire e mangiare: quando vi ho affermato in parola d’onore che le fatiche e i patimenti e i miei tanti pensieri mi lasciavano spesso privo di forze per sostenermi in piedi: quando finalmente è un fatto certo che io dovevo sino trascurare di dar le mie nove a Ciro e a chi lo aveva in custodia, cosa potrei dire adesso di più per chiamare indulgenza su quel mio reato? Voi peraltro, Signora mia bella, giungeste a Morrovalle il 13 luglio, e mi dovevate scrivere almeno un eccoci quà, e se non pure a me potevate scriverlo a vostro suocero, il quale trovavasi mondo del mio peccato del 1837. Egli poi avrebbe comunicate a me quelle due vostre parole, e le cose avrebbero camminato alla meglio. Ma diamine! di tre persone niuna piglia la penna per dire a due poveri suoceri: siam giunti, stiam bene e buona notte! E lasciamo star parentela e amicizia: rifugiamoci almeno nelle regole della etichetta. Come! etichetta? Sissignora, etichetta: in difetto di moventi migliori anch’essa è buona a qualche cosa, e bene o male sostiene essa pure i vincoli sociali.

Basta, mettiamo da parte tutte queste ciarle, e come voi dite bene, non se ne parli più. Un articolo però ancora rimane in sospeso, ed è la vostra salute. Perché non mi avete voi detto come state? Partiste ancora acciaccatella. Vi siete rimessa? La tosse vi ha essa lasciata in pace? Ecco un punto essenziale su cui richiamo la vostra attenzione e le vostre parole.

Godo assai nell’udire le vostre lusinghe sul sollecito ristabilimento del Signor Giuseppe. Certamente il figlio lo deve curare con premura ed amore, ed accelerarne al possibile la guarigione, seppure l’infermo non ne ritarda i successi con qualche disobbedienza di cura, che verso un medico-figlio è facile a verificarsi. Inculcategli, anche in mio nome, docilità alle igieniche perscrizioni.

Oh vedete! È stato infermo anche Pirro! Comprendo vivamente le vostre agitazioni per lui, sì degno di affetto e di felicità. Rendetegli l’abbraccio che mi manda a rendeteglielo di cuore. Ciro dunque si guadagnò varii libri nella solenne premiazione del giorno 8 settembre, ed oltre ai libri ebbe una medaglia di argento, appiccatagli al petto da Monsignor Delegato.

Suonò il pianforte in pubblico, e le cose andarono bene. Nel prossimo anno scolastico 1839-40 studierà logica e metafisica, fisica generale e qualche altra coserella, compresa la prosecuzione di lingua greca, già da lui principiata nell’anno corrente. Sapete cosa ho scoperto? che Ciro nelle ore di ricreazione passa il suo tempo nella botanica, occupandosi a coltivare erbe e fiori, nel quale esercizio ha già qualche pratica, acquistata da sé da sé e zitto zitto. Io gli ho dunque regalato un libro d’istituzioni botaniche del Savi, e poi da Roma gli spedirò qualche manuale di giardiniere. Quel figlio è un vero galantuomo, ed è laggiù comunemente chiamato la pace del collegio. Accanto a Ciro convien parlare di Matildina vostra. Ditele che la ringrazio dell’aggiunta da lei fatta alla vostra lettera, e che io appena giunto a Roma (per la qual città parto dimani) mi occuperò della cara sua commissione. Di poi le scriverò direttamente, tanto più che mi dite dovervi esistere una di lei letterina per me.

Ripetete, di grazia, i miei saluti a tutti, e credetemi al solito

 

Il vostro affezionatissimo amico vero

G.G. Belli

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