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Giuseppe Gioachino Belli Lettere a Cencia IntraText CT - Lettura del testo |
Sig.a Vincenza Perozzi N.a M.sa Roberti
per Morrovalle
Di Roma, martedì 26 settembre 1843
alle 2 pomeridiane
Mentre io era per mandare alla posta una mia lettera per Ciro, scritta da me in questa medesima mattina, mi è giunta la vostra del 24, annunziatami già da mio figlio dal dì 20.
Io la riscontro subito, trovandomi in casa, e peggio che in casa, stando in letto a far compagnia ad un reuma di petto e di schiena. Insomma io vi aveva detto la verità. Ciro è buono, modesto, non bello, non deforme, poco lusinghiero, e risguardante le donne stimabili cogli stessi riguardi che usa agli uomini di egual merito. Colle giovanette, lo so, è anche più riservato che colle adulte, particolarmente ne’ primi periodi della conoscenza, e più le stima e più si regola così. Tutte queste cose io le ho cavate dalla osservazione, perché egli non ne tien mai proposito; e son sicuro che se vorrò sapere quel ch’egli pensi del fisico di Matilde, dovrò espressamente interrogarnelo: altrimenti non ne udirei da esso una parola. Lo ha giudicato benissimo. È un piccolo stoico. Posso però assicurarvi che il di lui animo è candido e affettuoso: chiunque peraltro dovrà far vita con lui dovrà contentarsi più di buoni fatti che di belle parole. Così debbo contentarmi ancor io. Circa alla barba vedo che non ne avrà mai molta: nulladimeno gliene crescerà quanto basti a mostrarlo uomo robusto. Lo sviluppo materiale è stato in Ciro sempre più lento che lo sviluppo morale. Simile procedimento non mi dispiace. Gli sviluppi nel fisico molto precoci fan sì che una funzione cresca a spese dell’altra. Su questo articolo però non so bene spiegarmi, e non vorrei dire spropositi. Uditene Pirro, che di siffatte faccende è giudice competente. Ma in quanto al lasciarsi Ciro crescere la barba, quando ne avrà tanta che meriti il vocabolo crescere, non solamente troverebbe una opposizione ne’ sentimenti miei, che finalmente si piegherebbero alle circostanze quando il meglio non ne andasse di mezzo: il maggiore ostacolo lo incontrerebbe nella opinione di chi fra noi regola la battuta. Questi barbuti son lasciati tranquilli, ma anche troppo tranquilli, perché, riputati generalmente la parte più leggiera della società, se ne fa poco conto, e difficilmente lasciansi correre nella loro carriera. Ciro abbisogna di formarsi uno stato nel Foro, e il cominciare col volto pieno di barba gli nuocerebbe molto ai solleciti progressi. Sarà, è ancora, un pregiudizio, ma quando il pregiudizio vive, e di più alligna nella mente di chi può, sarebbe prudenza il disprezzarlo? Allorché la riputazione sociale è formata, è lecito azzardare un po’ più che non pria di formarla. Tornando a dire qualche altra parola sui diportamenti di Ciro verso Matilde, mi dorrebbe poi assai se, calcolato anche il di lui carattere, fossero essi incivili. Quasi, ma non so come dirlo, quasi v’incaricherei di quest’altra vece paterna col pregarvi a fargli conoscere che ciò va contro il dovere e a rovescio de’ miei sentimenti: Voi però regolatevi colla vostra prudenza. Né io ho creduto dirgliene io stesso alcuna diretta parola, potendo ciò per avventura dispiacervi. Forse però col crescere la familiarità, potrà aumentarsi in esso la pieghevolezza verso codesta cara fanciulla. E in quanto ad altri sentimenti più teneri, aspettiamo: chi sa? Parmi che di francese Ciro ne sappia troppo poco per istruire Matilde. Salutatemi tutti uno per uno, e permettetemi che finisca perché sono stanco, ed oltre a ciò diluvia e non vedo quel che mi scrivo.
Sono di cuore il Vostro affezionatissimo amico
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