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Giuseppe Gioachino Belli
Lettere a Cencia

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Alla Nobile e Gentil Donna

Sig.a Vincenza Perozzi, N.a M.sa Roberti

Macerata

per Morrovalle

Di Roma, 22 febbraio 1844

A.[mica] C.[arissima],

Alla vostra dell’11, giuntami il 15, avrei più presto di oggi risposto, se la commissione che al fine di essa mi davate fosse stata più facilmente eseguibile in modo che non apparisse venirmi da Voi. Fra le altrui distrazioni carnevalesche e le mie occupazioni consuete mi è sempre fuggita la opportunità di un particolare colloquio colla Signora Pellegrina, in cui venir giù piano-piano e come alla sbadata sul proposito dell’acquisto del Casino, del quale credevate aver essa intenzione. Senza mio starvi a ritessere il dialogo da me con lei finalmente tenuto, salto di lancio alla conclusione. Se mai qualche idea ha questa Signora avuto su tale proposito, credo potervi assicurare che attualmente ne ha dimesso affatto il pensiere.

Mi è stato molto sensibile il racconto da voi fattomi circa ai crudeli dissapori passati fra vostro cognato e la moglie, e più spiacevole ancora trovo il danno che n’è derivato ad entrambi per la pubblicità che la leggerezza di molti ha dato ad un avvenimento già in se stesso abbastanza funesto.

Non una sola parola sopra siffatti particolari è mai stata quì a me profferita dai parenti di lei, né io mi sono mai sentito il coraggio di muovere la più lieve allusione a un soggetto tutt’altro che consolante pel cuore di genitori che, se si sono ingannati nel promuovere un modo malaugurato, meritano sempre un delicato riguardo e sincera compassione pel rammarico che non possono non provare sulle conseguenze di un passo che si poteva forse da essi meditare un po’ meglio, studiando maggiormente i caratteri delle due persone che volevan congiungere, cercando migliori informazioni sulla indole dell’uomo, e ponderando se le morali forze della donna avrebbero resistito alle tentazioni del mondo, tantopiù seduttrici quanto meno si trovi dalla moglie nella corrispondenza del marito un compenso alle vittorie ch’essa abbia voluto e saputo per qualche tempo riportare su passioni pericolose e fomentate dalle arti de’ libertini. Intanto io non so positivamente se o quanta notizia de’ fatti da Voi narratimi sia pervenuta a questa famiglia. Combinando però i dati generali e desumendone una illazione, mi sembrerebbe che, almeno in parte, ne fosse istruita, poiché ad altra causa non saprei attribuire il recente viaggio del figlio per codesti paesi, in tempo di carnevale e nel cuore di una stagione inclemente. Una semplice visita si fa in altri tempi. Ma il giovane sarà stato bene informato della verità? Ne dubito assai.

A Voi pare impossibile che io non conosca il Pigault. Infatti lo conosco, avendone fatto lettura in mia gioventù. In caso diverso non sarebbe or più tempo di leggerlo, e resterei senza la soddisfazione che già provai nello scorrere quelle spiritosissime opere. Pigault non cede in ispirito a Voltaire, secondo quanto io ne penso.

Mettendo ora mano al paragrafo de’ saluti principiamo dal Sor Pirro che mai non avesse altrimenti a salire in sui fummajuoli per sospetto di dimenticanze. Salutatemelo dunque tre volte, e se non gli basta il terque, dategli anche il quaterque, e mandiamolo contento quel crestosaccio. Poi salutate Matilde con qualche distinzione di affettuosità. Son vecchio: si può azzardar la parola. Poi salutate Mamà con Checco, e tutti e due pregateli a ricordarsi del Vostro affezionatissimo servo ed amico e dal figlio suo che Vi dice a tutti: Mille cose amichevoli.

 

G.G. Belli

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