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Giuseppe Gioachino Belli Lettere a Cencia IntraText CT - Lettura del testo |
Sig.a Vincenza Perozzi, N.a M.sa Roberti
per Morrovalle
Ricevo oggi la vostra del 4, e subito la riscontro. Trovomi io sempre senza salute, frase che equivale al sempre male; e la ultima sera di carnevale mi fu forza passarla sotto l’azione di un buon numero di sanguisughe (con rispetto) al preterito, per coronare così un Carnevale passato in una perfetta privazione di qualunque sollievo. La generosa sanguigna emorroidale non servì, al solito, che a viemmaggiormente convincermi della impotenza di noi poveri uomini nel cercare di allontanare da noi le sventure che ci travagliano. E tutto questo entra nell’ordine. Non potendo io dunque escire di casa, specialmente nel pessimo tempo che corre, mi sembra difficile il poter vedere la Madre Ignazia: difficilissimo poi, se ella, come mi dite, poco si tratterrà in Roma; in questa circostanza, non è faccenda da zoppi. Non deriverà però da volontà mia il non vederla e parlarci; che anzi farò quanto per me si possa onde appagare questa vostra premura. Dunque vedremo. Mi maraviglio peraltro che fra i contingibili voi travediate in nube qualche lieve probabilità che le mie parole fossero capaci di dissuadere la Reverenda dal tornare in Convento; perché Voi sapete, come so io, che simili vocazioni procedono dal Signore, contro la voce del quale riesce troppo meschina ed invalida la lingua di un povero peccatore quale io sono, e peggio ancora la lingua di un omiciattolo par mio, verso il quale l’animo della pia donna non sembra molto benevolo: quantunque Voi potreste citarmi in contrario tanti belli ed edificanti esempii di poverissimi strumenti de’ quali la provvidenza volle spesso valersi per ottenere gravi e strepitosi successi, atti a modificare la umana superbia. Così la fionda di David, così le trombe dei trecento, così la mascella dell’asino, servirono a debellare un gigante, a diroccare una città, a distruggere una mezza popolazione. La visita alla Signora Chichi entrerà ancor essa nel calcolo delle probabilità mie sanitarie.
Dalla conchiusione degli affari Perozzi, come presentiste, io già n’era informato, e me ne rallegro con Voi. Meglio oggi un magro tordo che non dimani una grassa gallina. Mi servo di proverbii usuali e accreditatissimi. Dite da regina (perché le regine dicono sempre bene) che scherzando io sopra i miei malanni faccio meglio che non bestemmiare. Non dubitate però: passano ore, e sono frequenti, nelle quali se non commetto il peccato della bestemmia, do in frasi di un coloretto molto ad essa limitrofo. Bisognerebbe essere un Giobbe per avere sempre sulle labbra parole inzuccherate e bocconcini di marzapane.
Veniamo all’indirizzo francese, su cui mi consultate come l’oracolo dell’antro di Trofonio. Nella vostra lettera lo trovo scritto così: A Madam la Marquise Vincence Roberti Perozzi Pour compter les’annes de ma tendre amitiè. — Sull’A ci va un accento grave, e va scritto À. Non si scrive Madam, ma bensì Madame. — Si dice Vincence come ha detto l’autore, e non Vincente come pretendono i critici di cui mi parlate. Non devesi scrivere les’annes, ma les annèes, e senza apostrofo. Il resto va pe’ suoi piedi. Il concetto però per la dedica o pel dono di un lunario, non mi par troppo giudizioso e acconcio. Per contar gli anni di un’amicizia da un lunario, bisognerebbe avere e contare tutti i libretti dall’anno della cominciata amicizia in appresso: altrimenti la semplice data dell’anno corrente (che si ha tuttodì nelle orecchie e nella testa, e si segna sino sulla lista del bucato) basterebbe per sé sola a supplire alla efficacia del lunario, il quale non vi dice altrimenti gli anni decorsi dalla nascita dell’amicizia, ma sì quelli passati dalla nascita di Gesù Cristo. Queste epigrafette sono arzigogoli di galanteria e non altro; ma la galanteria sarebbe ancor più graziosa se nel suo linguaggio si consigliasse almeno colla serva del senso comune.
Vi ho salutato Ciro che amichevolmente Vi corrisponde. Intanto, per vostra regola, sappiate che il corso di studi lo compirà alla fine di giugno, e sarà laureato alla fine di luglio. Finito quest’ultimo mese lo potrete chiamar Dottore quanto vi parrà e piacerà.
Mille saluti al buon Pirro, alla buona Matildina, e alle altre buone persone di vostra famiglia.
Scrivo cogli occhiali e collo zeppo. Dunque dubito pure se comprenderete appena che il carattere è del
Vostro vecchio amico senza lunario
P.S. — Ho da rispondervi a un’altra cosa. La mia giubilazione è stabile e non precaria. Non sarò più impiegato.
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