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Giuseppe Gioachino Belli
Lettere a Cencia

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Alla Onorevole e gentil Donna

Signora Vincenza Perozzi, N.a M.sa Roberti

Filottrano

Di Roma, 11 aprile 1845

G.[entilissima] A.[mica],

Riscontro il vostro foglio del 6. Voi non avete alcuna colpa nella omissione degli auguri in prevenzione del mio giorno onomastico. In questo caso avrei mancato in circa alla posta di S. Vincenzo. Son minuzie da non tenerne alcun conto. Ringraziate in mio nome quel tal Signore per la gentilezza usatami di appellarsi a me stesso in cosa per la quale veggo in lui sufficiente capacità di giudicare da sé: aggiungendogli però non convenirmi il concessomi titolo di professore, giacché nulla io professo fuorché la fede e legge di Cristo, come dobbiamo far tutti. Ma per rispondere al suo quesito ritorniamo un po’ indietro ne’ fatti. Nella vostra del 4 Febbraio trascrivendomi voi l’indirizzo con cui vi fu accompagnato il lunario del corrente anno, scriveste fra le altre parole pour compter les annes, e poi su tutto chiedeste il mio voto. Vedendo io quello annes ritenni essersi voluto esprimere con quella parola années piuttosto che ans, giacché alla prima di queste due più somiglia; e così, partendo da quel dato, corressi annes in années. Non v’ha poi dubbio che, secondo quanto opina oggi l’interrogante, non sarebbe errore il dire anche les ans; ma nel caso in quistione, avendo il donator del lunario avuto appunto in mira la durata, la estensione, la progressività della tendre amitié, questo corso di tempo sembra meglio inteso e indicato col vocabolo années che non col vocabolo ans; dopodiché l’anno tradotto in an esprime una idea di carattere più assoluto e astronomico che non convenisse alla circostanza del perseverare dell’amicizia. Queste mie distinzioni appariranno forse un po [sic] troppo sottili, e dalla sottigliezza è un assai breve passo al cavillo. Non intendo io però cavillare; e al postutto so bene che tanto an quanto année dicono anno, cioè lo spazio di dodici mesi, né più né meno. Ma appunto nell’avere i francesi adottato due distinti vocaboli per rendere una medesima idea, si conosce che la duplicità implica una distinzione delicata e alquanto sfuggevole, se non vogliam chiamarla sottile. La lingua francese è forse (non mi accusate di bestemmia) più esatta della italiana; e di siffatte ideologiche distinzioni fra parola e parola di uno stesso significato ve se ne sono introdotte parecchie, che un lettore svegliato ed attento riconosce nello scorrere le opere de’ buoni scrittori di quella dotta e gentile nazione.

Dopo il ritorno di vostra sorella non ho io potuto vederla che una sola volta, attesa la incomodità del luogo ove essa dimora e la molta fragilità della mia povera salute. Ma ci tornerò. Pirro sta in Ancona pe’ suoi affari, e Ciro è da alcuni giorni in Terni per lo stesso motivo. I saluti ad entrambi li daremo dunque appena li rivedremo, voi a Pirro per me, io a Ciro per me, io a Ciro per voi. Ricordatemi alla cara Mitirdola, a Mamà, a Checco, e credetemi al solito

 

Il vostro affezionatissimo amico e servitore

G.G. Belli

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