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Giuseppe Gioachino Belli
Lettere a Cencia

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Alla Nobile e gentil Donna

Sig.a Vincenza Perozzi N.a M.sa Roberti

Macerata

per Morrovalle

Di Roma, 29 Xcembre 1846

A.[mica] C.[arissima],

Per rendervi gli augurii del capo-danno anche in nome di mio figlio, ho atteso il costui ritorno da Orbetello (stato toscano) dov’egli trovavasi all’arrivo della vostra lettera del 20. Gli ho io dunque comunicato il vostro foglio, ed egli mi incarica di essere presso di Voi e della vostra famiglia l’interprete de’ di lui sentimenti, simili in ciò ai miei, desiderandovi entrambi quelle stesse felicità che voi ci augurate.

La stagione è assai strana anche in Roma; ed abbiamo, oltre il resto, sofferto triste conseguenze di una ben significante inondazione del Tevere.

In quanto a me, vado sentendo i miei reumi invernali, ma fino ad ora non ho mai avuto necessità di guardare il letto, come è accaduto negli anni passati. Ma quanto la vorrà andare in lungo?

Il sonetto che mi avete trascritto è un pasticciaccio.

Quello che da qualche anno io conosco è seconda la lezione che troverete nella carta seguente. Neppur esso è nulla di buono. Quale de’ due sia poi da dirsi l’originale io non saprei. Duolmi grandemente lo stato del povero Checco. Salutatemelo purtuttavia, e così i vostri.

Sono con perfetta stima

 

Vostro affezionatissimo amico e servitore

G.G. Belli

 

Li pensieri der monno

 

Er chirichetto, appena attunsurato

Pensa a ordinasse prete, si ha cervello:

Er prete pensa a diventà prelato;

Er prelato, se sa, pensa ar cappello.

 

Er cardinale, si tu vôi sapello,

Pensa gnisempre d’arrivà ar papato;

E dar su’ canto il papa, poverello!,

Pensa a gode la pacchia c’ha trovato.

 

Su l’esempio de quelle personcine

Gni giudice, impiegato, o militare,

Pensa a le su mesate e a le propine.

 

Chi pianta l’arbero pensa a li frutti.

Quà insomma, per ristrigneve l’affare

Ognuno pensa a sé, Dio pensa a tutti.

* * *





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