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Giuseppe Gioachino Belli
Lettere a Cencia

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Alla Nobile e Gentil Donna

Sig.a Vincenza Perozzi, N.a M.sa Roberti

Macerata

per Morrovalle

Di Roma, febb.o 1848

A.[mica] C.[arissima],

Il mio lungo silenzio verso la vostra del 29 dicembre non è frutto di pigrizia, benché ve n’entri anche di quella. Io sto sempre col reuma addosso, che in alcuni giorni mi toglie il potere di scrivere, e in altri me ne vieta la voglia. Oggi la è giornata di mezzo calibro, e cerco la penna, che neppure so dove stia. Il più bel mestiere è quello del poltrone: l’ho imparato e non me ne dimentico più. Bocca chiusa, occhi chiusi, orecchie chiuse, e mani in tasca ove stan calde, e gambe insaccate entro scarperoni più pelosi nell’interno che non le braccia d’Esaù, a cui neppur valsero contro la onnipotenza di poche lenti civaie, laddove il pel mio mi a vitalizio la primogenitura di tutto il genere umano, il quale, salvo qualche scarsa eccezione, ho preso a tenerlo dove ho detto di tenere le mani. E così passeranno questi altri pochi o anni o mesi o giorni che ci rimangono a sbadigliare fra la luce del sole e quella della lanterna.

Benché, secondo l’almanacco, non sia più tempo di auguri prendetevene pure, un contracambio de’ vostri, quanti e quali volete, ché tanti ve ne do quanti n’ho e come gli ho, e valgan poi quel che ponno valere, non per difetto di sincerità nel donante, ma sì per la inefficacia di queste chiacchiere in mutare gli eventi, che, fausti o sinistri, stan ad aspettarci saldi ed immobili come il Monte Corno o il picco di Teneriffa.

Della mia lettera del 29 luglio altro non so dire sennon che la scrissi e la mandai a Filottrano. Voi mi dicevate il 6 giugno: dimani partiremo per Filottrano, dove resteremo fin presso alla festa del nostro protettore S. Bartolomeo. Mi scrivete poi il 29 Dicembre: la lettera che dite avermi diretta a Filottrano il 29 dello scorso luglio non mi é giunta affatto. Io tornai a Morro il 23 di quel mese. Se dunque tornaste a Morro un mese prima del tempo indicatomi non ce l’ho colpa. Io scrissi la mia lettera tempore abili, come dicono i curiali, che la san lunga più delle mogli dei medici. Ma questo, al postutto, l’è un incidente che non monta una scorza di noce.

Sicuro, Ciro si divertì, cosa che da quelle parti non gli accadrebbe attualmente. Egli vi porge i suoi rispettosi saluti.

Non capisco bene come la morte di uno zio scompigli il matrimonio d’un nipote, quando questo nipote non è morto, ed ha un altro zio che non è morto, e che pareva avesse intenzioni che non sembravano dover morire neppur esse, e v’era in mezzo a tanti vivi un buon principio d’attaccamento che forse nemmeno esso è ancor morto, seppure fra gli altri miei imbalordimenti non debba io contare ancor quello di non saper più

 

«Distinguere dal brodo lo stufato»

 

(Petrarca)

 

Una giovanetta che si disgusta del matrimonio per lo scompiglio di un matrimonio, sembra mostrar chiaro che il suo cuore sta in viaggio, e chi lo cerca nol trova a casa.

Salutate Mammà, Pirro e Matilde. Sono con distinta stima

 

Il vostro affezionatissimo servo ed amico

G.G. Belli

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