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Giuseppe Gioachino Belli
Lettere a Cencia

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Alla Nobile e Gentil Donna

Signora Vincenza Perozzi N.a Marchesa Roberti

Macerata

per Morrovalle

Di Roma, 17 agosto 1853

G.[entilissima] A.[mica],

Ebbi dal Molto Reverendo Padre Salvatore da Morrovalle la vostra lettera del 25 luglio; ma prima di riscontrarla io attendeva di aver reso una visita a quel Religioso, ciocché non è potuto accadere prima del recente sabato 13 per varii miei motivi, non tutti lieti, senza pur calcolarvi la difficoltà derivante dalla enorme differenza fra il mio diurno orario e quello de’ Cappuccini. Vi ringrazio di questa conoscenza, convenientissima all’umor mio; e trovo il Suggetto più di mio genio che quel tale antico Maestrino di Loreto.

Godo delle domestiche contentezze vostre e della vostra Matilde. Per me non va così. Il mio nipote, cioè il piccolo Giuseppe Gioachino, come lo nominate, era perfettamente risanato dalla sua coxalgia e correvami sempre attorno. Nel passato giugno morì per uno stravasamento di sangue al cervello. Portento di bellezza, di grazia, e d’ingegno, ha colla sua morte quasi ammazzato il Giuseppe Gioachino vecchio. In gennaio era già morta una delle sue sorelline gemelle. L’altra vive, ma nella diecina di questo mese accennò male ancor essa. Ora sta novamente bene, carnosetta e vivace. Vedremo!

Che la Civiltà Cattolica abbia, come dite, cose di poco conto fra tante altre assai belle, assai buone, assai erudite, assai instruttive, non deve recar maraviglia, considerandola, quale è, opera non angelica ma umana. Dubitate poi scritto esso periodico sotto la influenza gesuitica? È anzi redatto da Gesuiti, e in apposita Officina esistente entro una delle Case della lor Compagnia. Ve lo dico perché lo sappiate, augurandomi nulladimeno che la vostra ripugnanza verso gli autori non si riverberi contro la eccellente Opera e non ve la faccia leggere cogli occhi appannati dalla prevenzione.

Io non esco più da Roma, neppure per passeggiare. Figuratevi per un viaggio! Credo che il mio ultimo viaggio sarà fuori la porta S. Lorenzo, al campo Verano. Se mi chiedete che cosa sia, vi rispondo Le Croci. Comunque poi a Morrovalle non verrei mai, perché litigheremo sempre sul proposito de’ Gesuiti.

Riverisco e saluto tutta la vostra famiglia, e di voi mi confermo

 

Affezionatissimo amico e servitore.

Giuseppe Gioachino Belli

* * *




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