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Giuseppe Gioachino Belli
Lettere a Cencia

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Alla Nobile e Gentil Donna

Sig.ra Vincenza Perozzi N.a M.sa Roberti

Macerata

per Morrovalle

Di Roma, 15 febbraio 1854

Gentilissima amica e Signora,

Una balia! E la madre non alleva ella stessa i suoi nati! E dopo queste frasi ammirative la vostra lettera del 22 gennaio continua sullo stesso tono per intiera una pagina di riflessioni e di epifonemi

 

Insomma, o bene o male,

m’avete fatto un lago di morale.

 

E non pensavate frattando fra le vostre meraviglie a quali altri stupori aprireste in me poco-stante la via col prospetto dell’infausto matrimonio di vostra figlia, e appunto e solamente infausto per cagioni che forse potean prevedersi in tempo opportuno: cosicché se io volessi darla giù per traverso a giudizii e sentenze lo che non mi è lecito

 

Anch’io oggi potrei per parte mia

Farvi un pantano di filosofia.

 

Ora udite in succinto come stanno le cose.

Mia nuora, spasimata di allevare i suoi figli da sé, allattò felicemente il primogenito per un anno. Quindi ella ammalò di una nervosa, lunga e pericolosissima. Si tentò allora di svezzare il bambino; ed eccoti che dopo tre giorni cadde anch’egli in gravissima infermità. Dunque balia: e le balie una dopo la altra furon diverse, e tutte per imprevedibili cause riuscirono male. Il seguito della storia di quel povero figlio sino alla sua morte, che lo colpì presso al terzo suo anno, sarebbe qui fuori del nostro proposito.

Venne poscia il parto di due gemelle. La madre non avea latte per due. Ne tenne dunque una per sé: per la seconda fu necessaria una balia, e fu ottima sotto ogni risguardo. In capo a due mesi morì l’allieva di Cristina, e questa volea prendersi al petto l’altra figlioletta. Aveva essa però il latte poco avviato per motivo dello scarso tiro della delicata bambina allora perduta. Era inoltre molto sciupata, specialmente per la diurna e notturna assistenza prestata al padre suo, mortole di recente dopo undici mesi di penosissima malattia. Altronde la gemella superstite andava mirabilmente prosperando al seno della balia, e questa eccellente donna si affliggeva pel troncarsi dell’allievo. Di accordo perciò col savio medico della mia famiglia io stabilii che le cose rimanessero come stavano, tantoppiù che mia nuora avea bisogno di riaversi mediante la virtù del riposo. Ma chi prevede il futuro? La robusta balia nel 2 del passato dicembre cadde inferma e vi restò per 43 giorni. Poco dopo infermò pur la creatura, e quindi impoi andò sempre deperendo sino al non più darci oggimai troppa speranza di guarigione. Si è provato anche con essa il rimedio di una nuova nutrice; ma la bambina non ne ha voluto affatto sapere. Ora aspettiamo che mitighi alquanto di forza il soverchio freddo e il rigido vento di questi correnti giorni per mandare (con voto del medico) e la madre e la figlia ad un luogo di mare il più vicino che abbiamo; e poi?... e poi aspetteremo il resto dalla mano della Provvidenza. Che ne dite voi adesso co’ vostri punti ammirativi? Eppure non vi ho narrato che un centesimo delle sventure.

In quanto a me, io non uscirò più da Roma, senza averne però fatto voto per non dar nel balordo. Vi ringrazio adunque de’ vostri obbliganti inviti, ma non verrò. Tutto deve al mondo avere il suo termine: anche il girare. E la mia salute? A vanvera, a babboccio, alla sciamannata. Sempre dolori intestinali. Lasciamoli fare a modo loro. Peggio che colla morte non potrà poi finire. Ad hoc nati sumus, disse il Cardinale Maldacchini vedendo passare un buon galantuomo che andava a morire impiccato.

Riverisco e saluto la Marchesa, Pirro e Matilde; e di voi mi confermo cosoliti sentimenti

 

Vostro affezionatissimo amico e servitore

Giuseppe Gioachino Belli

 




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