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Giuseppe Gioachino Belli
Lettere a Cencia

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Alla Nobile e Gentil Donna

Sig.a Vincenza Perozzi, N.a M.sa Roberti

Macerata

per Morrovalle

Di Roma, 14 Novembre 1839

Amabilissima amica

Né posso ancora comprendere come la posta di Morrovalle vadazoppa. Ecco quì: la vostra lettera del 3 non è giunta che il 12. Nove giorni per passare dalle vostre mani alle mie! Ma noi non possiamo affrettare il corso delle testugini [sic] . Dunque la pazienza è il miglior rimedio dove manca miglior medicina.

La figlia vostra, o cara amica, comincia a scrivere con una grazietta che incanta. Disinvolta e insieme assennata sviluppa nel suo stile epistolare un garbo che avrebbero motivo d’invidiarle tanti e tanti uomini che escono dalle università ricchi d’idee e poverissimi d’arte per enunciarle. Io voglio veramente bene a codesta cara ragazza, la quale, appena sarà spogliata di qualche lievità inseparabile dalla età sua, potrà andar distinta fra le sue pari, e interessare ogni culta persona. Ricevete da me questo giudizio intorno alla figlia vostra non come un complimento (che ben sapete quanto pochi io ne faccia) ma sì qual sincero tributo di lode a un merito da me riconosciuto. Con lei non direi tanto per non invanirla.

Il povero Rutilj sembrava prevedere il suo prossimo termine quando non chiedeva ai superiori che una dilazione di mesi. La morte cominciava già a prender possesso di lui, inspirandogli idee che altrui parevan pazzie.

Ciro mi ha comunicato l’ordine de’ suoi studi per questo anno 1839-1840. Logica e metafisica, fisica, lingua greca, esercizio sui classici latini, e musica. Nelle passate vacanze, oltre agli altri divertimenti, hanno dato gli alunni alcune rappresentazioni teatrali. In una commedia del Genoino, intitolata La gratitudine, mio figlio copriva la parte del protagonista per nome Eugenio. Egli così mi scrisse a questo proposito: Fra gli attori mi annovero anch’io: il più scartarello; ma pure servo a qualche cosa. Il Rettore poi, dotto e penetrante uomo, mi disse: Bravo il mio Ciro! Oh lo aveste veduto far la parte di Eugenio! Quanti baci gli avreste dati, e come bene avreste veduta tutta la bell’anima di questo figlio! Quante cose scuopre il teatro! — Mio caro Belli, sapete che io non inganno. Vi dico con verità che questo giovane chiude in petto una gran virtù, ed ha forte sentire.

Dunque de’ nostri figli possiamo contentarci entrambi. Iddio li faccia felici. — Abbracciate per me il mio buon Pirro, salutate la vostra famiglia, e il S.r Giuseppe, e abbiatemi sempre in conto di a[mi]co aff[ezionatissi]mo

 

G.G. Belli.

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