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Giuseppe Gioachino Belli Lettere a Cencia IntraText CT - Lettura del testo |
Sig.a Vincenza Perozzi, N.a M.sa Roberti
per Morrovalle
Giuntami il pr[im]o corrente la vostra lettera del 26 marzo mi avrebbe lasciato spazio di tempo e per riscontrarla e per arricchire la mia risposta coll’invio degli auguri pel vostro onomastico del 5. Ma alcune parole che terminavano il vostro foglio mi trattennero dal così regolarmi. Voi dicevate: la mancanza di carta mi fa terminare: proseguirò nell’ordinario venturo. Io previdi dunque un incrociamento di lettere, e per evitarlo mi posi ad attendere quel vostro proseguimento, onde poi rispondere a tutto insieme, e significarvi contemporaneamente che se gli augurii del 5 non gli espressi in carta li formai in cuore. L’augurio infatti non è una parola ma un sentimento. Intanto però il vostro proseguimento va tardando, ed io voglio anticiparvi i miei pensieri sulle diverse parti della vostra lettera interessante.
L’impiego di quasi intiero il vostro tempo in atti relativi alla vostra figlia non può sorprendere alcun’animo [sic] retto né temer censura da chi specialmente conosce la potenza dell’amor de’ figliuoli, e lo stato di orgasmo che si prova nel vedersi lontani da queste sì necessarie parti della nostra esistenza. In quegli improvvisi viaggi però, in quegli accessi subitanei di desiderio, in quegl’impeti di volontà non colmabili che da una istantanea soddisfazione, lì riconosco chiaramente la madre, e nella madre la donna, e nella donna la mia buona amica Vincenza Roberti-Perozzi, che fu sempre impaziente di contraddizioni e di ostacoli.
Nulladimeno il motivo delle attuali vostre velleità è sì sacro e sì puro che a darvici torto bisognerebbe prima pensarci due volte. Comunque però la sia, mi par sempre certo che i vostri incontrastabili pregi Vi hanno in ogni epoca della vita guadagnati amici indulgentissimi; e la esclusiva deferenza non è poi il più efficace elixire per corroborar gli animi contro gli attacchi della volontà. Vi ho fatto una predicuccia, eh? No, cara Cencia, non dovete udire in me che un amico il quale esprime celiando le sue idee intorno alla vita morale di noi povere macchinette. Nel caso attuale, a buon conto, voi avete forse più ragione di me, e chi sa se io ne’ vostri panni non facessi peggio di voi.
Vi ringrazio delle obbliganti parole che mi dite circa al mio prossimo viaggio per Morrovalle. I giorni però che passeremo insieme non potranno essere che pochissimi, secondo il rigoroso diario che mi sarà forza di osservare in quella occasione e in quel tempo. Voi stessa farete tacere in ciò la vostra cortesia e parlar la ragione. Mi converrebbe allungare i giorni come Giosuè. Il matrimonio progettato da vostra sorella, e così favorito dai voti di tutta la parentela, mi par cosa da non disprezzarsi; e per poco che s’incontrasse il genio de’ due giovanetti io vi consiglierei ad accettarlo. Mi dorrebbe anzi moltissimo che da parte della mia casa nascessero motivi atti a prevenir l’animo della cara Matildina e attraversare le mire della buona zia di lei, la quale non merita questo rammarico. Il cuore dev’esser certamente consultato in progetti di matrimonii; ma io credo che a formare la felicità di due sposi basti un moderato affetto unito a molta stima. Se poi su queste basi riposi anche l’edificio di una brillante fortuna, come potrei io cooperare onestamente a confermarvi ne’ vostri antichi divisamenti in favore di un’altra alleanza? Incontrerei prima la mia stessa disapprovazione, e poi quelle di tutti i vostri parenti, per non dire di tutti gli uomini virtuosi. Ora sta a Voi il dirmi se fosse o no ben fatto che io dimettessi l’idea del viaggio di settembre. Non già voglio intendere che Ciro sia pericoloso, che anzi credo il contrario; ma poiché doveva esser questa una conoscenza sperimentale, sarebbe forse meglio l’evitare uno sperimento che poi avesse a contrariare disegni di famiglia che senza questa prevenzione potrebbero riuscire a buon fine. Consultatene Pirro. Egli è onesto e prudente: io forse delicato: voi ragionevole.
Nell’epigrafe del frate io trovo (ma posso ingannarmi) improprietà di espressioni, inesattezza di vocaboli, equivoci di sensi, imbarazzi di sintassi, prolissità di estensione, ridondanza di epiteti, cacofonie. La epigrafe può nulladimeno esser bella, perché io per verità me ne intendo poco.
Un abbraccio a Pirro, mille saluti a Matildina, tante cose amichevoli agli altri di vostra casa. Sono di cuore
Il V[ostr]o aff[ezionatissi]mo a[mi]co
P.S. — Dimani è pasqua. Mille felicità a tutti.
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