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Giuseppe Gioachino Belli
Lettere a Cencia

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Alla Nobile e gentil Donna

Sig.a Vincenza Perozzi, N.a M.sa Roberti

Macerata

per Morrovalle

Di Roma, 7 Ottobre 1841

Carissima Amica

Voi mi scrivevate l’8 settembre, io partiva di Roma colla diligenza del 9, e la vostra lettera è rimasta sul mio scrittoio fino al mio ritorno.

Giunsi a Perugia nella notte tra il 10 e l’11. La mattina dell’11 vidi Ciro. Nella domenica 12 fu la general premiazione al Collegio, e Ciro ebbe sei premii. Nel giorno 19 lo tolsi da quell’instituto, e il 23 partimmo per Roma, senza neppure aspettare le feste pel Papa che giunse colà il 25. La sera del 25 giungemmo a Terni e vi restammo sino alla mattina del 2 corrente, trattenutivi dal mal-tempo, da’ nostri affari in campagna e dalla scarsezza delle vetture non che dalla mala-fede de’ vetturini. Verso la sera di domenica 3 si giunse a Roma.

Non prima d’oggi ho potuto prender la penna per rispondervi, perché le mie brighe arretrate e i gravi doveri dell’impiego (che mi occupa sette ore consecutive ogni giorno) me lo hanno vietato. Sono impiegato al Debito pubblico, ma prima del venturo gennaio non avrò alcuno stipendio. Deve però verificarsi un altro caso, cioè che in un certo concorso da farsi fra i circa 50 impiegati del Dicastero niuno riesca abile a coprire il posto che in tal caso darebbesi a me. Si crede che così dovrà riuscire, ma intanto è sempre uno scoglio. In questo frattempo io faccio pratica delle astruse e complicate materie del Dicastero stesso, ond’essere allora in grado di esser nominato capo della corrispondenza, la quale va sino a risguardare gli Stati esteri per le convenzioni diplomatiche di Vienna e Milano all’epoca della ristauraz[ion]e delle Corti europee. Queste cose ve le comunico in confidenza.

Duolmi oltremodo delle cause che tengono divisa d’animo e d’interessi la famiglia Perozzi. Ora io sto come in mezzo a due parti belligeranti, e vedo con vera amarezza le spiacevoli contese nate fra esse, contese che disgraziatamente non posso soffocare. Come mai questa benedetta pace e concordia che è sì dolce cosa, debba esser sagrificata all’interesse! Credetemi, cara amica, se potessi dare porzione del mio sangue per veder tornare fra voi la tranquillità e la alterata benevolenza, io non esiterei a chiamare il salassatore. Dunque il verme che cominciò a rodere i Perozzi nella passata generaz[ion]e seguiterà a divorarli nella presente? Ciò che mi dite della sposa Cini mi sorprende, avendola sempre trovata umanissima, dolcissima e amorosissima. E così dico di questa famiglia Cini, che ho sempre sperimentata piena di cuore, e tal giudizio ne f[accio] [macchia] tuttora. Quì sotto vi dev’essere qualche cosa, la quale dichiarata con pace e buono accordo diluciderebbe l’operato del S.r Cini, che io credo incapace di menzogna e viltà, avendo altre prove del personal suo carattere. Ah! se io fossi fra voi tutti, chi sa che a forza di preghiere e di buoni uficii non mi riuscisse di condurvi ad intendervi e ricomporvi in armonia? Un amico deve prender le due destre de’ due contendenti e forzarle a congiungersi. Ma io sono lontano, e queste son faccende da colloquii. Ciro sta bene e vi saluta tutti. Anch’io pregovi dir mille cose a Pirro, a Mamà, alla cara Matildina, e con una fretta da cursore mi riconfermo

 

il V[ostr]o a[mi]co

Belli

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