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Giuseppe Gioachino Belli Lettere a Cencia IntraText CT - Lettura del testo |
Sig.a Vincenza Perozzi, N.a M.sa Roberti
per Morrovalle
Giunto a Roma mio figlio dopo varii giorni di dimora in Terni per ragioni di affari, mi ha dato contezza dell’obbligante modo con cui è stato trattato in Vostra casa per tutto il tempo da lui trascorsovi dandovi disturbo ed incomodo. Trovandomi io pertanto debitore di riscontro alla gentilissima Vostra del 22 ottobre, credo mio stretto debito cominciare dal ripetervi mille grazie in suo e mio nome per tutte le amabilità di cui egli è stato lo scopo per parte vostra e della vostra famiglia: dovere al quale mi assicura Ciro di non aver mancato al suo giungere in Terni, mediante una lettera che di là Vi diresse. Piacciavi dunque accogliere la presente qual complemento de’ sinceri sensi del nostro animo riconoscente. Mi duole che fermo Ciro nel proposito di partire col mezzo del velocifero onde appagare le mie premure che si trovasse egli in Terni ad un’epoca determinata onde abboccarvisi con persone da me colà chiamate per lettera dai varii lor domicilii, Vi cagionasse il dispiacere di vederlo intraprendere il viaggio con pessimo tempo, ed esponesse ai medesimi rischi il S.r Triccoli, il cocchiere convalescente e la cavalla gravida. Egli però mi dice che poco dopo la partenza il cielo si rasserenò, e si mantenne poi sempre così; di modo che io spero non sia nulla accaduto di sinistro per tutto ciò di che ragionevolmente mi Vi mostraste in pena. Il permesso di questa amministrazione postale per servirsi dello speditivo mezzo del velocifero glielo mandai io da Roma, e tantopiù mi lasciai indurre a simil partito in quanto che calcolai che risparmiando egli così un paio di giorni di viaggio in vettura, poteva consumarli meglio presso di Voi, siccome è accaduto. Posso accertarvi che in Roma, ad eccezione di qualche ora di passeggio che di assai buon grado io gli accordo, Ciro passa il suo tempo sempre al tavolino. Lo faccia di buona o di mala voglia non so; ma di questo son certo che mai non mi è occorso di scorger dal suo esteriore alcuna ombra di disgusto per simile tenore di vita. Nelle sere antecedenti ai giorni di vacanza della Università soglio talvolta procurargli il piacere del teatro, ricreazione però che non mi ha egli mai dimandata, aspettandola dal mio buon piacere. In simili circostanze, propenso ed anche spesso obbligato qual sono al ritiro, soglio affidarlo alla compagnia di persone meritevoli di tutta la mia fiducia. Che nulladimeno la mia vita sia per qualche anno ancora a lui vantaggiosa e forse pur necessaria a fronte della sua non cattiva condotta, lo riconosco vero come Voi lo pensate. È un giovanetto ancora immaturo, e poco avanti nella retta cognizione del mondo, non che nella pratica de’ più fini doveri sociali, e presso i racconti da Voi con lodevole sincerità fattimi su qualche svista in cui costì è andato cadendo, mi accorgo della necessità di mettergli un po’ più d’accordo fra il cervello e il cuore, benché né l’uno né l’altro manchino in lui delle qualità fondamentali di rettitudine e sentimento. Lo sconcerto consiste finora nelle dosi de’ diversi morali e intellettuali ingredienti da combinarsi per farne un uomo degno di stima e di affetto. A poco a poco si osserverà la ricetta, se io vivo. Se muoio ci penserà la provvidenza che mi avrà voluto toglier dal mondo. Intanto il nostro favorito progetto si è dissipato: farò eco alla vostra conclusione: pazienza! Mille saluti a Pirro, Matilduccia, Mamà ecc. ecc.
Sono il V[ostr]o aff[ezionatissi]mo a[mi]co
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