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Giuseppe Gioachino Belli
Lettere a Cencia

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All’Onorevole

Sig.r Giuseppe Gioachino Belli

via Monte della Farina

N. 18 Roma

 

[Di mano del Belli: Riscontrata il 31 Xbre coll’invio contemporaneo di un libro di poesie fatte in morte della Borghese]

Morrovalle, 16 dicembre 1840

Amico Car[issi]mo

È un pezzo che vi sono debitrice di una risposta, ma, perdonatemi, poiché la lontananza di quella figlia mi ha tolto la testa. Io passo il tempo o nei viaggetti per riabbracciarla, ciò che siegue al meno ogni settimana, o nel prepararle qualche regaluccio di suo desiderio, e questa seconda parte mi fa attendere assiduamente al lavoro; in fine passo tutte le sere scrivendo a lei delle lunghe lettere, perché ogni giorno mando al monastero per avere sue notizie. Da ciò vedete che poco tempo mi rimane, eppoi mi sento una certa indolenza, una certa distrazione continua che mi rende inabile ad ogni cosa. Questa sera è andato Pirro a Macerata per cui io non ho da scrivere colà, e per occupare il tempo più piacevolmente che posso, scrivo a voi. La mia Matilde muove continue preghiere onde si lasci stare qualche altro tempo in monastero. In considerazione del suo gusto, e della utilità che ne ricava specialmente per la musica, noi abbiamo acconsentito di lasciarvela fino a giugno. Più tardi non è possibile perché a Lei sono molto salubri i bagni, e questi bisogna che li faccia a casa onde non mancare delle dovute precauzioni. Fino a giugno dunque io resterò priva di lei. Nelle feste di Natale passerò un’altra giornata in Monastero anch’io, e sarò ben contenta. Mi fo scrupolo, caro Belli di lasciare un’amico [sic] come voi in inganno rapporto ai miei sentimenti sopra un’articolo, e perciò mi credo in dovere di parlarvi schietto. Sbagliate assai nel supporre effetto di modestia, o di spirito superiore al mio sesso il solennizzare così pubblicamente il mio giorno natalizio. Sappiate anzi che questa disinvoltura é conseguenza del più raffinato orgoglio. Io ho avuto sempre pretensione di poter interessare

indipendentemente dai vantaggi della gioventù e dell’avvenenza. Perciò non ho mai creduto, né mi sono curata mai di esser bella, perciò ora non ho alcuna premura di occultare gli anni da me trascorsi. Che anzi calcolati questi, calcolata la mia figura che non fu mai bella, calcolate le attenzioni che ricevo ancora da un’ottimo marito, e l’assidua compagnia a preferenza accordatami da qualche buon’amico, ne risulta per me maggior gloria, che il vano merito di una età che bisogna che trascorra irreparabilmente. Lodatemi adesso, se vi l’animo. Eppure non ho fatto menzione fino ad ora della principale circostanza da cui deriva la mia fierezza. Sappiate anche questa. Sono persuasa che voi abbiate affezione per me a preferenza di qualunque altra donna; e siccome io vi stimo più di tutti gli uomini che fino ad ora conosco, così vado superba di tale distinzione. E qui potete rimarcare che del mio difetto voi siete la principale cagione.

17 D[icembr]e. È accaduto questa volta come quasi sempre accade, cioè che io scriva a voi circa quel tempo in cui voi scrivete a me. Ho ricevuto il vostro foglio, e per rispondere categoricamente differisco la spedizione del presente, sebbene a molti punti mi trovo aver risposto anticipatamente. — Quanto mi dite rapporto al vostro Ciro mi fa sperare che egli non verrà una fisionomia effeminata, che io chiamo di bambinelli di Lucca. Se stesse a me di formare gli uomini, li vorrei tutti di capelli ed occhi negri, barba folta, statura avvantaggiata, e carnagione bruna. Questo riguardo al fisico. Rapporto poi al morale parmi che non si possa bramare più di quanto Ciro possiede.

22 D[icembr]e. Sono andata a Macerata a trovare Matilde, e le ho portatta [sic] la vostra lettera. Oggi poi essa me la rimanda e l’accompagna col seguente periodo: «Vi ritorno la lettera di Belli avendone ricopiata la romanza. Vi prego dirgli da mia parte che gli auguro il buon capo di anno e tutto il seguito felicissimo, che io stò contentissima in Monastero, e che gli scriverei volentieri ma non posso perché stò in convento. Appena uscita però la prima lettera che scriverò sarà per lui».

Di lei non posso aggiungervi altro che ora studia la musica con più profitto di prima e lusinghe di una buona riuscita. Quanto desidero che la udiate sonare! ma voi differite sempre la vostra venuta fra noi, ed io ormai comincio a strapazzarvi perciò. La vostra romanza è bella e moralissima: mi sembra però che possa fare poco effetto la musica su quelle parole a riguardo della espressione che esse parole non eccitano gran cosa. Ritengo che Ciro riuscirà nell’accompagno, ed allora voi potrete essere divertito da questi giovanetti e passare una vecchiaia felice. — Monsignor Teloni? vi saluta mille volte, e vi è grato della memoria che conservate di lui, assicurandovi di compensarvela con alt[rettanta?] [strappo] stima e reminiscenza. La sua sorella fin dal gennajo [dell’anno?] scorso uscì di vita. Ditemi: in una composizione lapidaria si può usare la frase uscì di vita? Sappiate che qui vi è stata una diatriba fra D. Luigi Nunzi, ed un frate, il quale in morte di Cristina Tomassini Laurenti ha usata questa espressione in una lapide, e Nunzi l’ha criticata sostenendo che doveva dire riposa in pace. Si dice qui che in morte della Borghesi vi è stata costì una bellissima composizione di un certo Cantù. Se ciò è vero vi prego procurarmene una copia.

Dopo il discorso de’ morti passiamo a quello della mia salute. Stò bene, ma ciò non toglie che io debba morire a 44 anni. Ci vuole pazienza, amico caro, quando accadono cose irrimediabili. Zia Matilde stà male assai, e perciò mia sorella in gran pena. Mi fa gran piacere sentir voi migliorato, e mi auguro sovente una tale notizia. — Vi ringrazio a nome di tutti de’ vostri [...] auguri nella ricorrenza natalizia, ed io auguro a voi buon [strappo] un seguito innumerevole. — Mi manca la carta. Addio.

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