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Giuseppe Gioachino Belli
Lettere a Cencia

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All’Onorevole

Signor Giuseppe Gioachino Belli

via monte della Farina

N. 18 Roma

Morrovalle 14 [o 24] luglio 1842

Mio caro Amico

Avete ben ragione di rivolgere contro di me le molestie per il piccolo sarcasmo che io vi facevo per aver chiamata buona, ottima, eccellente mia sorella, poiché io stessa la ho tenuta presso a poco tale fino alla sera del giorno 22 del prossimo passato giugno. È vero che spesso ho dovuto asseverare [?] in lei un fondo di malignità e di menzogna che mi disgustava, e molte volte mi ha costato dei penosi sacrifici per risparmiarle delle figure ben brutte ma attribuivo questi difetti all’abitudine contratta dall’aver dovuto passare la vita nella necessità di fingere, e ritenevo per fermo che soltanto in piccolo così si esercitasse il suo genio. Chi mai l’avrebbe creduta capace di una manovra così infernale condotta a fine con una dissimulazione inarrivabile! Se voi foste stato presente a tutti i suoi discorsi, alle sue proteste di affetto, alle sue promesse, ai suoi progetti futuri, vista poi la sua condotta presente, vi sembrerebbe di sognare. Ora non so dirvi dove si trova, perché questa figlia amorosa non si è data il più minimo [sic] pensiero delle smanie della povera sua madre e della desolazione di tutta la sua famiglia, e dopo la sua partenza non ci ha diretta neppure una riga. Ci si è detto che ha scritto a Loreto da Firenze e dice che voleva vedere Milano, andare poi a Genova ed imbarcarsi nel vapore per Marsiglia; ma credete che facciano proprio questa strada? Io ne dubito appunto perché lo dice. Intanto si sa che essa si è portata oltre scudi 700 in danaro, scudi 5.000 in cambiali in faccia sua, pagabili a Parigi: dunque ella pensa di arrivare fin ! Eppoi è un pezzo che Amadei dice che voleva fare un viaggio fino a Parigi ed a Londra; ed ella che gli paga questo piccolo piacere, non è credibile che voglia perderne la deliziosa compagnia, per la quale ha mortificato beni ed onore. Sapremo una volta cosa ne fu di loro. Intanto è giunto un’ordine [sic] di Segreteria di stato al Commissario di Loreto M[onsigno]r Angelini, dove gli ordina di non rilasciare mai più permessi per l’estero agli impiegati di S[ant]a Casa senza previo consenso della congregazione Loretana, e che intanto si richiami il maestro Amadei con ordine che se per i 20 del ventuno agosto egli non è al suo posto s’intende decaduto dall’impiego. Ad Ignazîna però resta ancora una rendita vitalizia di circa 1.000 piastre l’anno, e non mi farebbe meraviglia che trattenesse con sé Amadei facendogli lasciare l’impiego tanto più che egli è veramente bravo nella musica, per cui può far danaro dovunque. Vedremo anche questa. Già ella ha fatto a costui dei doni di migliaia in brillanti, biancherie di ogni sorta, mobili, porcellane, orologi da tasca e da tavolino, ed un superbo piano-forte di Grasse preso da poco, che le costa scudi 350. Non vi parlo di anelli, spille e catene di oro, perché ha fatto prova di coprircelo. Ultimamente gli aveva dato una catena da collo ove sono scudi 70 di oro; ed un ferrajolo di scudi 30. Questo io lo sapeva; e mi era avveduta della sua passione, ma non credeva che la spingesse fino a perdere la buona fama.

La nostra presente situazione è così brutta che a fronte delle vostre brighe mi abbisogna una piacere da voi. Mamà vuole avanzare al Sovrano supplica per riavere con sé la figlia, e viste le sue follie ne vuol chiedere la tutela rapporto agli affari, e tentare anche di annullare la donazione fatta alle monache ove la madre non è affatto nominata, o rivendicare almeno i doni fatti ad Amadei, che, essendo oggetti di valore forte, una ragazza non poteva donare. Oltre di ciò vorrebbe reclamare contro Amadei come seduttore e contro il vescovo Bernetti, suo direttore di coscienza, che fu complice alla sua fuga. Dal modo col quale vi espongo i diversi punti di questo reclamo voi conoscete bene che io non sono al caso di stenderlo. Vi prego dunque, caro Belli, di stendere voi una supplica energica e commovente, come voi sapete scrivere. Io già non saprei come farla, eppoi la mia testa dopo questa disgrazia è affatto svanita: gli altri di casa stanno peggio di me.

Favoritemi dunque voi, mio caro Belli, ed unirò questa a tante altre mie obbligazioni. — Scusate se non vi parlo di altro, ma proprio non ho mente. Non dimentico però il vostro Ciro, che saluto di cuore. Tutti i miei e specialmente Matilde vi dicono tante cose amichevoli. Addio, caro Belli, addio. Investitevi della nostra situazione e credetemi costantemente

 

La vostra C.

 

Caro Belli, osservate quanti disgusti ci ha dati Ignazîna! io però non voglio replicare quello che diffusamente vi ha narrato Cencia, ma vi accerto che mi ha punto al vivo. Fatemi il piacere di ricordare al mio amico Giulio Fornari impiegato credo, nel vostro med[esim]o dicastero la nota che gli mandai delle piantagioni dei mori e gelsi ed olivi, e di pregarlo di farmi avere il più presto possibile i mandati per riscuoterne il premio. State bene, e credetemi il vostro P.P.

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