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Giuseppe Gioachino Belli Lettere a Cencia IntraText CT - Lettura del testo |
Alla Nobile
Sig.a Vincenza Perozzi, N.a M.sa Roberti
per Morrovalle
Amica, è vero. Il tempo diviso non è mai lungo, e la regolarità abbrevia tutto. Oltre a ciò, le medesime occupazioni, ogni giorno ripetute dietro la guida del dovere e sotto lo stimolo delle affezioni domestiche acquistano ben presto nei cuori bennati un genere di dolcezza, che vanamente si cercherebbe fuori delle virtuose abitudini. La stessa monotonia de’ luoghi diviene per noi allora una particolare sorgente di piacere. In ogni oggetto crediamo di riconoscere un testimonio delle nostre azioni lodevoli e un compagno fidato delle care emozioni che ci premiarono l’anima al compimento di quelle. Chi troppo cambia di esercizii e di stanza educa i suoi pensieri al desiderio, i desiderii alla cupidità, la cupidità alla intemperanza; e così da sensazioni soverchiamente variate ed attive esce finalmente il malfrutto della trista indifferenza e del tedio tormentoso. Al contrario, in un ritiro tranquillo, in un ritorno continuo di idee sperimentate, l’uomo moderato raccoglie la propria immaginazione in sé stesso e la impiega ad esaminar meglio le risorse ed il fine dell’esistenza. Familiarizzato ogni di più con que’ suoni, con que’ colori, con quelle forme, con quelle fisionomie del giorno precedente, si ritrova in costante accordo con loro, e fingendosi del resto un mondo a suo modo, lo accomoda facilmente alle modificazioni del suo spirito. Quando le passioni dell’uomo ristretto dentro un circolo angusto di terra si celano alla onnipotenza dei casi, il di lui cuore trova nell’ozio di esse e nella placida spensieratezza che ne deriva i benefici elementi della felicità. E quando la mente di lui, affrancata dall’esterne distrazioni, conservi la libertà di se stessa, può allora conoscere l’intenzione della natura, seguirne le leggi, adoperarne i soccorsi, ed aspettare in pace dalla di lei fedeltà l’adempimento delle speranze della vita. — Per dirvi ora due parole di me, vi assicuro che al punto della vita in cui sono, cominciano già assai a potere su di me i pensieri di riposo, di semplicità, e di futura consolazione. La vita umana, oltrepassato appena il suo mezzo, non si compone più che di reminiscenze: le speranze e i progetti periscono in un fascio, appena la mano fredda del tempo vi addita la tardità di ogni nuova intrapresa. Senz’altro avvenire che di un dolore esasperato ogni dì più dalla idea della distruzione che si avvicina, la virilità precipita nella vecchiezza: e guai, guai a que’ vecchi che non si saranno preparati di buon’ora una riserva di conforto! Schivati nell’universo, espulsi dirò quasi dal posto che occupavano nella società, costretti di cedere vigore, bellezza, salute, carezze a chi gl’incalza senza posa alcuna, essi rivolgonsi indietro aridi e afflitti spettatori degli altrui godimenti, a cui più non è loro lecito di aspirare. La gioventù, oltre all’allegrezza sua propria, può trovare dei piaceri dovunque, e sino negli stessi difetti degli uomini; ma la vecchiezza non può rifugiarsi che nelle loro scarse virtù. Al giovane è sempre aperto il gran teatro delle illusioni, a traverso alle quali i contemporanei si offrono a lui: ma pel vecchio non rimangono che le risorse della realtà, quasi tutte purtroppo dure e desolanti. L’anima sua allora si inasprisce, e i suoi difetti non più velati da alcuna apparenza di amabilità, lo abbandonano al solo conforto della pazienza e della compassione. Per risparmiarmi pertanto al possibile la umiliazione di que’ generosi sentimenti, io penso di fabbricarmi una felicità domestica, una felicità tutta indipendente dalle vicende del mondo; e ringrazio la providenza che m’abbia concesso un piccolo amico, il quale ricordevole forse un giorno dei dritti acquistati dalle mie cure alla sua riconoscenza, mi amerà spero senza le viste interessate della personalità. Ancor io, se potessi, sceglierei dunque asilo in un piccolo angolo di terra, dove mi abituassi per gradi a far di meno di agi, di strepito, di varietà, di compagnia, di gloria, di tutto ciò insomma che aggirandoci nel continuo vortice delle cose peribili, ci vieta di pensare a noi stessi. L’amicizia di mio figlio e di un altro compagno che io avessi trovato sulla strada solitaria scelta pel mio viaggio alla eternità, potrebbero bastarmi per dire: ecco una vita che finirà senza rammarico. —
Godo di sapere che siete andata a godere della musica in Ancona. So che a voi piace la musica; e ben per voi; un’anima che respinge la musica, dice Shakespeare, è piena di tradimento e di perfidia. In molti il David suscita una sensazione inferiore alla speranza: ma forse la colpa sta più dall’eccesso di questa che dal difetto del cantore. Certo è che la natura gli fu prodiga di molti doni. Nulladimeno, questi vanno camminando con l’età; e la strada del tempo declina. Io non ho fatto questa gita per udirlo. Lo conosco abbastanza. Sono bensì andato domenica mattina a eseguire la vostra commissione a questo convento di S. Giovanni. I frati cantavano in coro le ultime ore della mattina: mi appostai in sacristia e mi feci dal Sacristano indicare il vostro Padre Nicola. Egli ricevette con piacere i vostri saluti, mi fece il vostro elogio, e non fu elogio da frate, perché la pietà, l’umiltà e la mortificazione non vi ebbero luogo. Volle poi sapere da dove fossi io, e come vi conoscessi, e da quanto tempo, ecc. Di poco io lo soddisfeci; ma egli si mostrò pago anche del poco; e in questo fu frate anche meno che nel resto. Ecco servito il vostro buon cuore: ufficio per me non nuovo, ma non sempre di piacevole ricordanza. Il Sig.e Cardinali d’Imola dev’essere un tale che alloggiò tempo fa per due giorni nella locanda del Leon d’oro, dove io abito. Lo incontrai anche a pranzo alla mia tavola. Forse la sollecitudine della mia risposta non si accorda col comando che me ne faceste. Ma come si fa? La vostra del 3 giunse quì la mattina del 5; e le combinazioni di corrieri in arrivo e in partenza non mi lasciarono che mezz’ora di agio al riscontrarvi. Ora quell’agio diveniva disagio, col frate di mezzo e col bisogno di scrivervi cento linee di ciarle. Credo che io resterò quì a tutto il 14, e chi sa se di più! Addio. Sono il Vostro
Aff.mo amico e servitore G.G. Belli
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