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Giuseppe Gioachino Belli Lettere a Cencia IntraText CT - Lettura del testo |
Alla Nobile
per Morrovalle
Veramente per qualche sia malattia, febbre, io sono guarito, ma conservo sempre un dolore e uno svanimento di capo, desolanti. Si aggiunge a ciò il giornaliero aumento di tetra ipocondria che mi tiene sepolto nel canto di una stanza, perché in me i mali morali equivalgono a forze fisiche che tolgono l’esercizio della volontà. Sempre la ipocondria mi ha dominato, e voi lo sapete: ma da qualche anno a questa parte soffro di continuo quello che prima veniva per intervalli. Ormai il mondo è estraneo a me, ed io al mondo. I miei vecchi amici partono o muoiono: io non ne cerco di nuovi: intanto le generazioni crescono ed io mi trovo fra tutte persone di cui ignoro anche i nomi. Quanto volentieri mi seppellirei in un piccolo angoletto di terra! Ma fra due o tre anni non può mancare che io sia sepolto dovunque sia. Fate di meno di mettermi attorno il vostro minacciato esploratore: già poco di me trapelerebbe. Persuadetevi poi che i miei carteggi non possono essere che rarissimi, quando ancora debba costarmene taccia di insensitivo. Questa è la verità, poiché io mi accorgo benissimo di aver chiuso il cuore a qualunque affezione: né alcun rimprovero merito io meglio che quello da voi fattomene nella vostra del primo corrente. Vi do una notizia: i tarli si sono divorato il mio ritratto. Buono augurio per l’originale! Né io ne farò più disegnare, non essendo più tempo di ritratti. Credetemi, che così è. — Sono con tutta stima.
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