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Giuseppe Gioachino Belli Lettere a Cencia IntraText CT - Lettura del testo |
Sig.a Vincenza Perozzi, N.a M.sa Roberti
per Morrovalle
Di Roma, sabato 28 gennaio 1832
A.[mica] C.[arissima] Met.[?]
Ecco come stanno le cose. Rispondo alla [sic] vostre 4 pagine del Gemelli-Carèri, partite da voi il 14, arrivate a Roma il 24 e recate a me il 25. Amen: questo dopo la requiemeternam e la stampella. Ringrazio Pirro de’ saluti e del suo giudizio sul mio giudizio intorno al suo giudizio. La vostra ambasciata l’ho intesa: intendete la mia: e un altro amen. Non ho voluto affatto farvi valutare né moltitudine né fatica di mie visite al Borghi; ma semplicemente tracciarvi una storia dolorosa del niun conto che ne tenne sin quì il Borghi stesso, al quale i gradini di casa sua non sono cosa straniera. Dopo altre visite e ambasciate e biglietti, lo afferrai un giorno allo scrittoio. «Borghi, bisogna finirla — Ma Monsignore... ma bisogna... ma pare... Quello che pare e bisogna è di finirla. Io vi accordo il dritto. Voi concedetemi il fatto.»
Quì il Borghi e il Belli protrassero un mezzo altercuccio, la conseguenza del quale fu un biglietto del primo al Monsignore onde ottenere le debite licenze. Io lo portai al Monsignore. Trovatolo assente, vi tornai: assente ancora. Lasciai il foglio. Nel giorno consecutivo in moto il successore del Menicuccio per la risposta. Eccola «Bisogna che io parli prima col Borghi». Aspetta aspetta: silenzio. Impenno: mi si risponde «Va bene». Incontro il Prelato, dirigendomi a lui «Uh, Belli, avete ragione, il mio affare mi ha tolto di mente il vostro». E per verità il Monsignore ne ha avuto uno gravissimo con un suo emulo di tribunale. Ecco come stanno le cose. —
I difensori di vostro Suocero non li conosco che di vista. Il Cini è ora sostituto di camera. Vi ho però servita con raccomandazione al Tribunale. Il S.r Perozzi non lo incontrerò certo, perché non vado in alcun luogo. — Mi rallegro nuovamente delle vostre consolazioni di famiglia. Famiglia! Oh nome di dolore in Romagna!
Ecco come stanno le cose. I Mercanti (almeno quelli di questa Capitale) non sogliono farsi imporre dalla qualità ma dell’esperienza de’ compratori. Io non capisco niente: Domenico è sarto, e Antonia sartrice, cuffiara, ricamatrice, parrucchiera, ecc. ecc. ecc. Purtuttavia, sappiatelo, alla compera de’ difettosi peloni intervenni anch’io in terzo, e il mercante ci corbellò ambitre, come disse la bo[na] me[moria] del Viscardi da Roma. Ecco perciò che il servizio che mi chiedete doppio per un’altra volta, non ve l’ho reso sdoppio neppure in questa. È certo purtuttavia che questo stingere io lo previdi e lo minacciai: ma nel vostro cuore io non feci mai breccia, per grazia di Dio. Il lustro english fashon [sic] sarà provveduto, provveduta la polvere odontalgica, e andranno col resto nel magazzino di deposito; ché il Crocenzi, cercato da me ai tre alberghi, era già da tre giorni ripartito, se il vero mi disse lo stalliere di Sant’Antonio. Come diavolo! con otto pezzetti di legno ottenere tante combinazioni diverse di un medesimo risultato! 41! e poi? Siamo di tutto debitori al peccato di Adamo. Oh felix culpa! — Ecco come stanno le cose. Geppè vivo scrisse male di Effemtè vivo ad Essebè vivo. Morto Geppè, Essebè donò quello scritto, con torto del vivo e vergogna del morto, ad un Ceemme. Ceemme lo passò a Peccè, e Peccè, e Beccè lo pubblicò: Geggebè allora, sapendo molte cose degne di rivelazione, prese la penna, sputò nel calamaio per mettervi bile, e scriveva. Ma alcuni nuovi risguardi vennero a cambiare l’olografo in postumo. Ecco la spiegazione chiarissima del primo enigma. — Al secondo. Tutti gli elementi della soluzione gli avete notati nella vostra lettera a me e poi?... Ma a quest’ora indovinaste per certo. Pure pel probabile Nisi, prendete in mano il Tasso o l’Ariosto, e la prima prima parola dopo i frontespizii e i preludii, è quella. Sillogismo n’è sinonimo. Io intesi di scrivere Calossi e non Culossi. Diavolo! Culossi! Gesummaria mia cara! avvertite veh! — E quegli altri da 310 sono già passati a 380. Hanno preso un certo colore che non potete immaginare dietro i già uditi: cosa tutta diversa! Ma sapete come finisce? Uno stampatore ci ha guadagno, ed io ci vado in galera. — In Roma il Pirata lo abbiamo per ballo, dopo averlo avuto negli anni passati per musica. Di questo il Teatro regio dà tre spartiti, il Zadig, il Malek Adel, e la Straniera. Io ho il palco, e sino ad ora russo, non russo moscovita, ma russo dormiglione. Udremo il Malek? — Adel che in arabo vuol dire, vuol dire, vuol dire, diciamolo: Il Re Giusto!
Andiamo avanti — Sciarada di Geggebè
Il primo ha gli occhi quanto un pavone:
L’altro è peloso più d’un c...one;
Pur benché intendansi — di pelo ed occhi,
Non è l’intiero merce da sciocchi.
Andiamo avanti — Epigramma di Effeesse: 1831. Per l’Ambasciata del Mezzofanti
Sagacemente invia Bologna a Roma
Un orator che intende ogni idioma:
che sappia delle lingue almeno quelle
Parlate nella Torre di Babelle (sarà continuato).
Finiamola. Della Persiana Leandri basta. Nel resto della vostra lettera non vi è di lodevole che una tarda sincerità. Basta anche di ciò per omnia saecula saeculorum: ed ecco il terzo amen, per farne un collegio. [Parola cancellata] Che parola era? Indovinala grillo.
È finito.
Sono il Vostro A.[ffezionatissimo] A.[mico]
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