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Giuseppe Gioachino Belli
Lettere a Cencia

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Alla Nobile e gentil Donna

Sig.a Vincenza Perozzi, N.a M.sa Roberti

Macerata

per Morrovalle

Di Roma, 24 Febbraio 1838

Gentilissima amica,

La vostra del 4 corrente mi trovò infermo, e questa mia mi lascia convalescente. Io sono sventuratamente tornato sotto il maligno impero del mio sangue che ad ogni lieve cagione si infiamma e ribolle come vetro in fornace. Così dalla mia riperduta salute e dal nuovo stato di isolamento in cui vivo nasce una tristezza invincibile che mi consuma e fa di me un uomo al tutto perduto. Poco più peraltro mi resterà da penare, e il mio povero Ciro rimarrà presto orfanello. Io sono nato per le vive e durevoli affezioni, ed ora non trovo più intorno a me chi mi ami né chi sappia mettersi all’unisono col mio cuore. Tutto quel che mi circonda è squallore, e il tedio della vita, il fastidio delle cose giungono ormai nel mio spirito a un grado veramente insopportabile. Contuttociò mi è forza travagliare di continuo, poco cibandomi e quasi nulla dormendo, e mi adopero a tutt’uomo onde almeno lasciare a mio figlio qualche real prova di amore e un’esempio [sic] dell’intiero sacrificio che deve fare di se stesso un uomo profondamente penetrato de’ proprii doveri.

Qualche amico viene talvolta tentando il diradare la nebbia che mi oscura l’anima, ma deve partirsene col rammarico di veder perduta l’opera e vana l’amorevole intenzione.

Io che sovente era sì tristo quando altri al mio luogo si sarebbe chiamato beatissimo, cosa non debbo soffrire oggi che tante vere cause di malinconia mi si sono addensate dattorno E intanto se non muoio, invecchio, e la vecchiezza è per se stessa sì gran male e sì gran fonte di abbandono e sconforto! — E quel non poter più godere della consolazione di un libro? Che se pure ben di rado mi avviene di aprirne alcuno macchinalmente e per distrazione, i miei occhi vi trascorrono sopra senza la cooperazione dell’animo. Io leggo, torno a leggere, e non ne conservo un pensiere: condizione mortificante, desolatrice per un uomo che in altri tempi si sentiva formato di non sola materia. Ah! Iddio preservi sempre ogni mio più crudo nemico dalla sventura di perdere la sua famiglia e di restar solo sulla terra. Nessuna imprecazione potrebbesi lanciar più amara e terribile di questa: possa tu sopravvivere ai tuoi cari. Mio figlio è in troppo tenera età perché io ne vagheggi un conforto, che, potendo anche sorgere un giorno fra le disgrazie con cui dovrà lottare questo povero fanciullo, giungerebbe assai tardo e quando la mia logora sensibilità sarebbe incapace di gustarne le dolcezze. Uno spirito snervato e dei sensi ottusi quale compensazione offriranno ad una vita consumata nel dolore e nella solitudine? Orvia lasciamo queste vane lamentazioni, che non mi aveste da prender per uno Young arrabbiato, per un incivile spargitore di querimonie.

Ho udito il testamento della fu vostra Zia Volumnia, la quale ha certo, riguardo a Voi, vestita la giustizia coi panni della generosità, regalandovi ciò che per contratto era già vostro. Ma!

Moriva Argante e tal moria qual visse. La similitudine per verità conviene assai poco ad una pia donna che lascia il mondo per volare in paradiso: la mia erudizione però non ha saputo somministrarmi di meglio.

Anche il mio Ciro suona il pianoforte, ma credo assai agramente. Io voleva risecare questa spesa: mi sembrò che egli se ne mortificasse, ed io lascio correre l’acqua alla china. Nelle matematiche e nella eloquenza si distingue molto di più e mi si fanno altissimi elogi della normalità di ogni sua azione.

Vien dolce riflessivo, e sensitivo oltremodo all’onore. Ha fra un mese 14 anni e mantiene tutta la sua robustezza. Voi non lo conoscete. Lo conoscerete? chi sa! — Io conosco vostra figlia e so che ben guidata può formare la gloria de’ suoi educatori.

Cara amica, qualche lagrima anticipata risparmia poi gran sospiri. Felici allora voi genitori! e più felice chi apparterrà a quella cara fanciulla! Riveritela in mio nome, e abbracciatevi per me il vostro e mio Pirro, uno de’ più cari uomini coi quali io mi sia in terra incontrato.

Mille saluti alla Marchesa, a Checco, ed anche a que’ di Loreto allorché loro scriverete; e pregate tutti pace all’anima della mia povera Mariuccia, vittima di travagli e della generosità del suo cuore. Errò per virtù, e scontò l’errore colla vita. Benedizione alla sua memoria.

 

Sono il vostro amico e servitore

G.G. Belli

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