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Giuseppe Gioachino Belli Lettere a Cencia IntraText CT - Lettura del testo |
Alla Onorevole e gentil Donna
Signora Vincenza Perozzi N.a M.sa Roberti
Macerata
per Morrovalle
Di Roma 5 maggio 1838
Carissima Amica,
Prima di riscontrare la vostra 15 aprile ho voluto fare qualche passo pel vostro raccomandato. La inefficacia de’ miei mezzi mi dà sufficientemente a conoscere non esser cosa nella quale io possa riuscire.
In simili richieste il cui successo va sempre in ragione inversa della concorrenza, abbisognano impegni forti e potenti, e credito certo e immediato del raccomandatore. Io manco di rapporti; e così la mia nullità come il genere di solitaria vita che sempre seguii mi lasciano ora nella solitudine dalla quale non volli prima uscirne per elezione. Né la mia età, né lo stato dell’animo né le interne brighe patrimoniali sono elementi favorevoli a una mutazione di sistema. Giunto l’uomo a un certo punto del viver suo nulla può più intraprendere di veramente nuovo: gliene manca il tempo, l’ardire e il vigore, e quando anche raccogliendo un avanzo di forze si lanciasse in un tentativo non avvalorato da speranze, presto la vecchia natura lo ritrarrebbe alle prime abitudini spossato dallo sforzo imprudente. Belli dunque è morto, e se ancora non si può dire ciò con materiale verità, la vita ch’egli conduce somiglia il vegetare al buio di quelle pianticelle di frumento destinate nella Settimana Santa ad ornare i Sepolcri.
La lettera che mi annuciate avermi scritta nel passato marzo non mi è sicuramente pervenuta. Gli ultimi vostri caratteri anteriori a quelli del 15 aprile, furono del 4 febbraio, e a questi io risposi il 24 dello stesso febbraio. Mi dite che nella lettera di marzo mi parlavate a lungo de’ Vostri affari colla defunta Marchesa Volumnia, ma ciò fu materia della lettera di febbraio. Sarebbe dunque possibile che voi equivocaste fra la lettera di febbraio e quella di marzo? In tutti i modi sappiate non essermi in Marzo giunto alcun vostro foglio.
Facilmente mi persuado dell’amabilità della vostra Matildina, in cui l’età non può non andare maturando le felici doti e di corpo e di spirito onde alla provvidenza piacque di favorirla. E spero, ed anzi ne sono convinto (questo però ve lo dico all’orecchio, e timidamente) che qualche di lei antica disposizione ad un certo impeto ed imperio, siasi di già dal suo carattere totalmente dissipata. La dolcezza della sua indole come voi mi dite, deve condurmi di necessità a questo consolante giudizio. Del mio Ciro, di cui avete la bontà di mandarmi notizie, non ho che motivi di conforto. Ecco un paragrafo recentissimo di lettera, in cui il Rettore da me non provocato mi parla di lui: «Il nostro Ciro a dispetto della stagione stravagantissima è stato per tutto l’inverno e vi si mantiene egregiamente in fior di salute. Grasso, tondo, colorito, non lascia a desiderare di meglio. Di cuor sempre ottimo; ed attento a’ suoi doveri di buona voglia, per intimo sentimento di virtù, e per tutta brama (che senza dir con parole gli si legge all’opportunità nel viso) di esser la consolazione del padre cui egli ama teneramente e da cui ben mostra conoscere di essere teneramente amato». Egli ha compiuto il suo 14° anno nella sera del 12 aprile. Le lettere che mi scrive sono corrette, concepite e stese come potrebbero esser quelle d’un culto giovane di 20 anni. Il lor pregio maggiore consiste nella facilità e disinvoltura. Conosce egli già bene l’algebra, la geometria, le due trigonometrie; ed ora si applica con fervore alla geodesia. Nelle lettere studia retorica e principia a ben gustare i classici latini. Credo che nell’anno venturo comincerà il greco. Suona poi il pianoforte, ma di questo non conosco i profitti. Passerà qualche tempo prima che i nostri figli possano vedersi; e poi? chi sa qual diverso destino è lor riservato.
Pel mio Ciro pochissimo ci spero. In terra soffia mal vento. — Torno sempre a ringraziarvi de’ vostri inviti. Chi sa se neppure ad estate molto inoltrata potrò andare a vedere per quattro giorni quel mio povero orfanello! Salutatemi teneramente la vostra famiglia, ed abbracciate il buono, l’ottimo Pirro. Iddio non poteva concedervi un miglior compagno.
Sono il vostro affezionatissimo amico e servitore
G.G. Belli
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