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Giuseppe Gioachino Belli
Lettere a Cencia

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Alla Nobile e Gentil Donna

Signora Vincenza Perozzi Nata Marchesa Roberti

Macerata

per Morrovalle

Di Roma, 14 maggio 1839

Mia gentilissima amica,

I mezzi pe’ quali io otteneva qualche cosa erano tutti di relazione di Mariuccia. La mia vita solitaria, e direi quasi selvaggia, non mi ha aperto mai porte. Così oggi che mi abbisognerebbero spalancate, le trovo tutte chiuse e spalmate di pece come quella dell’Arca dopo entratovi Noè colla semenza di tutti i viventi. Ed io starò di fuori. Duolmi però che terrò al presso anche Ciro. Nulladimeno, ricevuta appena ieri la cara vostra del 10 corrente, mi posi subito in moto pel lascia-passare e ne feci la vistanza a nome della Marchesa Vincenza Roberti Perozzi proveniente da Morrovalle, delegazione di Macerata. L’ho chiesto libero da ogni visita anche a domicilio. Se mi riuscirà di ottenerlo sarà da me immediatamente depositato all’uficio doganale della porta del popolo; e Voi là ne farete ricerca secondo le soprascritte indicazioni. Spero che vorranno rilasciarmelo; e non per nulla ho nella dimanda fatta menzione del vostro titolo di famiglia. Alla nobiltà si concedono più facilmente o meno difficilmente.

Male: molto bene. Eccovi la parola che mi chiedete sulla mia salute: eccovi le due che mi dimandate su quella di Ciro. Se più ne aveste volute più ve ne direi, ma ne aggiungerò in voce. Intanto Vi basti sapere che Voi non riconoscerete più il vostro vecchio amico né all’aspetto né all’umore. Il perfetto isolamento e le angoscie alterano la fronte e inaspriscono l’animo. Ciro è ancor nuovo al mondo è alla vita. Per lui olezza ancor qualche fiore, avendo pure per sé un avvenire e sorridendogli alcuna speranza. Il di lui bel cuore e la soda mente possono realizzare a suo vantaggio i sogni coi quali tento raddolcire questi ultimi giorni miei. Pel 15° anniversario della di lui nascita, accaduto il 12 aprile, io gl’inviai rilegate in un libretto alcune poesie morali ch’egli ha aggradite e comprese mal grado della poca età sua. Altro regalo non ho potuto fargli: una volta erano cose: oggi son parole; ma il caro mio figlio da me accetta tutto e mi ringrazia di tutto. Nella seguente pagina vi trascriverò 28 versi di quelli. Io gli ho in pregio: ma sapete perché? perché son cosa di Ciro. Voi non potete credere quanto io ami quel ragazzo: cioè potete crederlo se pensate alla vostra Matilde.

Sapete quale idea mi passa pel capo? No. Ve la dirò io. Voi venite a Roma. Vi starete fino al 16 agosto; e il 17 ne ripartirete con me e verrete per un giorno a Perugia. Là conoscerete il mio successore nell’amicizia per la vostra famiglia. Non è che il cambio d’un Giuseppe in un Ciro. A me pare che vada bene così. Vi saluto tutti e vi aspetto.

 

Il vostro amico

G.G. Belli

 

A Ciro, pel di lui giorno natalizio.

 

Però che l’uomo, a cui va morte appresso,

Vive di giorno in giorno e d’ora in ora,

Ad ogni sol cadente e ad ogni aurora

Crede in forze e in età d’esser lo stesso.

 

Ma se un ricordo si risveglia in esso

Della sua vita giovanetta ancora,

Quanto ahi diverso da quel ch’era allora

D’animo e volto ei si ritrova adesso!

 

Così se ne’ miei verdi anni io mi specchio

Né guardo al tempo che mi viene accanto

Veggo pur troppo, o figliuol mio, che invecchio.

 

Ma in dolce illusion ricado io poi

Qualor te miro sì fiorente, e intanto

Misuro il viver mio dagli anni tuoi.

 

La vita.

 

Vedete voi questo mantel consunto

Sì che a traverso vi traspare il cielo,

E più che un panno si può dire un velo,

A tanto stremo di vecchiezza è giunto?

 

Esso, l’anno primier che l’ebbi assunto,

Sfidar potea degli aquiloni il gelo;

Ed or s’è dileguato a pelo a pelo,

Or s’è tutto sdrucito a punto a punto.

 

O giovanetti, vi scolpite in mente

Che a quella del mantel pari è la sorte

Cui volle il ciel soggetto ogni vivente.

 

Bello è il garzone, e rigoglioso e forte;

Ma poi? Oggi un capel, dimani un dente,

Ciò che il natal gli diè rende a la morte.

* * *





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