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Giuseppe Gioachino Belli
Lettere a Cencia

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Alla Nobile e gentil Donna

Sig.a Vincenza Perozzi, N.a M.sa Roberti

Macerata

per Morrovalle

Di Roma, 14 sette[mbr]e 1830

Mia cara Amica

Vi parrò un malfattore. Pensieri, parole, opere e omissioni. Quale mi attribuite de’ quattro? Sii buona, Cencia: faccio bene così. Mi risveglio però il 17 settembre, quel giorno che già mi svegliava all’aurora. Ah! non credeva di conservar tanta memoria...

 

«Quel dì che al dì già un dì schiudesti i rai.

 

Così cantava il poeta da dieci a paolo. —

Sii felice dunque, o Cencia, e teco lo siano tua figlia e quanti altri ti son cari. — Io son nato dieci giorni prima: riguardo ai giorni dell’anno; ma circa poi gli anni, eh! ... pss! uh!... ma! Ah m’invecchio, m’invecchio! E che male c’è? Così deve andare. S’invecchieranno ancora

 

«Il figlio de li figli di mio figlio;

 

siccome furono giovani tanti altri e lo fu pur egli

 

«Il genitor del genitor di babbo.

 

Il disegno non lo consegnerò io: forse lo porterò io, ma non lo consegnerò io. E questo accadrà forse verso il 5 di Aprile, un po’ prima o un po’ dopo. — Quella Vostra carissima del 1° Agosto abbia nella presente un mezzo riscontro. Sarò più prolisso a Spoleto, se là vi piacerà dirigermi una risposta. Parto dopodimani 16 corr[ent]e per quella bella capitale dell’Umbria, dove

 

Si sta male malati, e peggio sani:

 

presso a poco come a Fermo di scura memoria. E pure a Fermo dovrò andare, nell’anno venturo. Se non vi crepai nel 1820 vi schiatterò nel 31. — Ma per ora parliamo del bel paese delle Spole. Venerdì sarò là, e vi resterò alcuni giorni tanto che le cose da fare sian fatte; e spero con qualche fondamento che le non sien molte. Poi retrocederò a Terni; e lì dimorerò un altro pochetto per assistere al parto certe mie faccenduole, la cattiva gravidanza delle quali sembra predire aborto o feto mostruoso. Oggi sono a Roma e quì come lì e là sono e sarò

 

Vostro aff[ezionatissi]mo amico

Giuseppe Gioachino Belli

 

P.S. — Mi accorgo di errare ne’ pronomi. Voglio ristudiare questa parte del discorso. Ho però bisogno di una grammatica recente. Le edizioni di 9 sino a 5 o 6 anni addietro m’imbrogliano per ambiguità; ed io temo sempre gli equivoci e le amfibologie. Testa! Tutto affare di testa! Cambiata quella, dice il Ministro delle alte opere, tutto il resto va bene.

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