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Giuseppe Gioachino Belli Lettere a Cencia IntraText CT - Lettura del testo |
Morrovalle, 13(?) Marzo [1823]
Amico car[issi]mo
Se per godere del titolo di amica vostra è necessario essere maestra di politica, e dissimulazione, vedo purtroppo che io non giungerò mai a possedere questo tesoro. Quelle massime, da altri credute prudenziali, sono riguardate da me come principii di ipocrisia mascherata. Qualunque sia il mio carattere, a me piace portarlo impresso in fronte. Ecco fuori dalle mie labbra il delitto da cui prende origine tutto ciò che accade attualmente, e che vi dà tanta pena. Evvi anche un’altra mia colpa, che voglio confessarvi, benché vivo persuasa che attirerà sopra di me maggiore vostro sdegno, anziché impetrarmi perdono. Io stimo la vostra amicizia un bene inarrivabile, e vado superba di mostrare che la possiedo. E fintanto che voi mi sarete amico, io procurerò di farlo conoscere all’intero universo. Questo principio mi animò quando scrissi quella lettera a Zina; ma ve n’è un’altra più forte, che riserbo dirvi un’altra volta. Il motivo che taccio mi autorizza a far palese a mia sorella anche porzione della vostra ultima lettera. Avete fatto benissimo scriverle quelle 50 [?] righe in vostra difesa. So per prova, che lettere così lunghe placano qualunque cuore. Eppoi il modo di pensare di Zina và così unisono col vostro, che fra voi non possono durare che pochi giorni gli sdegni. [strappo del foglio] [Amerei] (?) a questo proposito che rammentaste i discorsi che io vi faceva prima di portarvi a Loreto. Mille volte vi predissi che mia sorella [pote]va(?) incontrare perfettamente il vostro genio. Ed ogni momento vi [ripe]tevo, che quando aveste fatta la sua conoscenza, non terreste più [in] tanta stima l’amicizia mia. Ditemi dunque adesso: si è verificato il tutto? [Guar]datevi dunque d’ora innanzi di spacciare tanto francamente quei [non] è possibile, io sono invariabile, il giudizio che ho formato una volta [per] me è immutabile... e cose simili. Io mi compiaccio di aver contribuito a [for]mare un nodo sì bello. Ma più sono contenta di averlo predetto fin da quando ero in Roma con voi.
Dimani Mamà spedisce a S. Giusto il Presciutto ad un vetturale chiamato Giuseppe Ruggieri, ed io vi aggiungo l’involto della musica. Se il primo non vi piace accettarlo, prendetevi l’incomodo di farlo gettare nel Tevere; la seconda torna ad essere perfettissimamente di vostra proprietà. Né io v’impongo certo la legge di donarla a mia Sorella! Colui che dona deve spogliarsi affatto di ogni dritto sull’oggetto donato e quello che riceve può disporne a suo talento. Ma che vi aveste detto voi, se io vi avessi regalato uno spartito di musica al patto che lo aveste passato a Tacci? Mi avreste con ragio[ne] risposto che voi non fate il sensale! Se al contrario io vi avessi mandato lo spartito senza alcuna condizione, e voi di vostro moto proprio ne aveste fatto un presente a Tacci, o a chiunque altro, non vi sarebbe stato nulla da ripetere. Io vi dissi che mi sarei fatta un merito con Zina di quella musica; ma intendevo farvi quella confidenza nel modo che si comunicano fra amici i pensieri; né avrei supposto che voi mi formaste un dovere invariabile della mia stessa volontà! E se io avessi cambiato idea, e mi fosse venuto l’estro di regalare ad un’amica porzione di quella musica (quale supponeva di mia proprietà) non avrei potuto, mentre voi avete scritto dettagliatamente a Loreto, che erano undici pezzi, tutti bellissimi, sei di questi francesi, quattro istrumentali etc. Di tutto questo a mia sorella io non ne avevo fatto parola! Forse voi mi risponderete, che il mio paragone è male appropriato, perché è ben diversa la relazione che passa tra voi e Tacci, da quella che stringe me a Zina! Attendo che mi facciate questa obbiezione per farvi conoscere che la offesa milita più al caso nostro, che a quello da me ideato.
Posso assicurarvi che non vi è stata alcunissima dispia [strappo] riguardo alla relazione della Cenci. Io la mandai a Loreto senza farne parola. Mia zia mi scrisse che dopo averla letta, me l’avrebbe restituita. Io gli risposi che doveva ritenerla perché voi avevate fatto a lei quel dono, e non a me... Non vi furono altre parole che queste. Se non ve hanno parlato, io non so che dirvi. Sarebbe potuto andare così anche l’affare della musica, se si fosse, bramato!... ma io ho ben conosciuto ciò che mi si è voluto fare? intendere!... Riguardo alla vostra venuta fra noi mi riporto a ciò che vi scrissi l’altro ordinario. Voi siete padrone di andare dove più vi piace. Io attendevo di vedervi qui, quando potrete venirci. A Loreto non posso trattenermi affatto, per alcuni motivi di famiglia. La visita che farò a mia sorella non sarà più lunga di un giorno.
Mamà vi saluta. Salutatemi al solito la vostra Mariuccia. Non parmi aver altro da aggiungere, se non che pregarvi di rammentare, quando non saprete che farvi,
L’amica vostra di cuore
C.
D.S.
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