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Giuseppe Gioachino Belli
Lettere a Cencia

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Alla nobile e gentil Donna

Sig.ra Vincenza Perozzi, nata M.sa Roberti

Ascoli

per Comunanza.

Di Roma, 1° Maggio 1828

A.[mica] C.[arissima]

Voi sapete che varie circostanze unite insieme mi avevano assai tolto dall’animo quondam Preposto Cesanelli, benché pure io gli debba qualche gratitudine per alcune verità da lui dettemi in vita, e da me allora per mio male non credute.

Dunque la sua morte non mi ha fatto né troppo caldo né troppo freddo, se mi permettete di essere sincero. Sono andato dalla Sig.a Chichi con la vostra del 20 giunta qui e marcata il 28. La Sig.a Chichi aveva già ricevuto la medesima notizia per altro canale ecclesiastico, con qualche circostanza di più. Così la partecipazione ai confrati dell’apoplessia precedette la mia preghiera, e il suffragio andrà, credo, di già calando sull’anima di quella buona memoria. Calza benissimo questa parola Memoria, all’uopo di rispondere all’elogio che vi piace prodigare alla memoria mia, in detrimento della mia volontà. Questa però dura in me quale si manifestava in diversi tempi, seppure un viziato intelletto non mi fa travedere; ma la Memoria, credetelo al rammarico che ne provo, si diminuisce in me tutto giorno, e di molte e molte cose mi lascia viva appena una traccia. Io veggo fuggirmi la vita passata; e le giornaliere occupazioni, le letture, le notizie, le idee s’inalzano nella mia mente le une con le altre, svanendo per dar luogo ad altre, non più felici in questo tristissimo albergo. L’invio della teoria sui colori Vi accadde per mio moto, spontaneo no perché non vi poteva io pensare, ma nato dietro gli ufici, o, se meglio volete; dalle suggestioni del vostro Meconi, che tale e quale mi spedì la vostra lettera d’inchiesta. La di lui immaginazione dunque non giuocò, e il fatto ve lo ha provato, come bene riflettete; e molto meno operarono i consigli, imperoché a giusta libertà consiglio mai non si porge, se non richiesto per norma di dubbio caso. Voi dimandaste, egli fece valere il pregio delle dimande vostre: ed io credetti che meno non si potesse fare per dimostrarsi non esempio di scortesia. Cionondimeno confesserò che mia intenzione allora non fu di dare acqua a fiori disseccati onde rinverdissero ad esalare un profumo di cui dovranno mancar sempre. I superflui ringraziamenti vostri intervennero, e la mia delicatezza mi svelò le brutte tasse di villania che il mio silenzio mi accaparrarebbe. Eccovi dunque di nuovo fra queste mie povere carte, su cui non vedrete più brillare una scintilla di vivacità né di gioventù. Mi sento pigro e vecchio; e se una reliquia di luce viene ancora balenando a tentarmi di riminiscenze, io serro gli occhi, e mi pasco fra le tenebre in cui tutto finisce e si perde. — La mia firma diceva appunto 996. È una specie di nuova cifra che avete perfettamente interpretata. Intorno poi alle due lettere, O.S., poste in capo all’antecedente mio foglio, io vi concedo che tolto il dizionario italiano scegliate le più belle e dolci parole che per quella incominciano: attribuitevi quelle parole; e non vi dilungherete di un passo dalle mie intenzioni. Se poi anche vi piace, interpretatele sino per Ostro e Scilocco; e così sarà chiara come il contrasto di due venti incogniti vi facesse girare il capo sopra la bussola. E qui protesto solennemente che io intendo celiare con queste metafore cadutemi ora sotto la penna per ozio. — Non crederò di avere mai in vita mia rinchiusa in più esatte espressioni una opinione solidissima qual’è quella che concerne il futuro destino del mio figlio su questa nostra terra nativa. Esaminate bene l’alternativa, e vi persuaderete, applicandola alla massa di nostri compatriotti, di quanta verità ella abbondi. Alcuni si sottraggono dalla dura legge, ma pochi quasi come i soldi che cadono di mano ad un’avaro [sic] che numeri il suo oro. Chi molto ha del suo, può facilmente salvarsi dal bivio e prendere la terza strada che le eredidate facoltà sanno aprire; ma quanti abbisognano della società per alzarsi a stato di fortuna e di riputazione (diversa assai dall’onore) debbono cadere in una delli due estremi. In Oriente, in America, e ovunque sorgano Stati nuovi, ogni vigoroso animo trova o morte sollecita o gloria onorata. Gli spiriti volgari stanno bene anche qui, perché terra da strisciarvi su il ventre non manca mai. — Giovanni Locke inglese di Wrington presso a Bristol scrisse un Saggio della mente umana e poi un trattato sulla educazione. Egli è persuaso che per essere felice e godere di un buono spirito debbasi avere il corpo sano. Locke prende il bambino appena nato, e lo conduce in tutti gli stati della vita. Egli è per verità tenuto materialista, ma va a me assai a verso. Se io esco di Roma in quest’anno non vedrò forse l’adriatico che verso Novembre o Dicembre sino a Fano, derivando dall’alto. — Forse saprete da Loreto non appartenere io più alla mia accademia: l’ho rotta con istrepito. Vivete felice quanto ve lo desidera il vostro servitore vero.

 

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