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Bernardo Dovizi detto Bibbiena La Calandria IntraText CT - Lettura del testo |
Prologo
PROLOGO Voi sarete oggi spettatori d'una nova commedia intitulata Calandria: in prosa, non in versi; moderna, non antiqua; vulgare, non latina. Calandria detta è da Calandro, el quale voi troverrete sí sciocco che forse difficil vi fia a credere che Natura omo sí sciocco creasse già mai. Ma, se viste o udite avete le cose di molti simili, e precipue quelle di Martino da Amelia (el quale credeva la stella Diana essere suo moglie, lui essere lo Amen, diventare donna, dio, pesce e arbore a posta sua), maraviglia non vi fia che Calandro creda e faccia le scioccheze che vedrete. Rappresentandovi la commedia cose familiarmente fatte e dette, non parse allo autore usare il verso, considerato che e' si parla in prosa, con parole sciolte e non ligate. Che antiqua non sia dispiacer non vi dee, se di sano gusto vi trovate: per ciò che le cose moderne e nove delettano sempre e piacciono piú che le antique e le vecchie, le quale, per longo uso, sogliano sapere di vieto. Non è latina: però che, dovendosi recitare ad infiniti, che tutti dotti non sono, lo autore, che di piacervi sommamente cerca, ha voluto farla vulgare; a fine che da ognuno intesa, parimenti a ciascuno diletti. Oltre che, la lingua che Dio e Natura ci ha data non deve, appresso di noi, essere di manco estimazione né di minor grazia che la latina, la greca e la ebraica: alle quali la nostra non saria forse punto inferiore se noi medesimi la esaltassimo, la osservassimo, la polissimo con quella diligente cura che li Greci et etiam gli altri ferno la loro. Bene è di sé inimico chi l'altrui lingua stima piú che la sua propria; so io bene che la mia mi è sí cara che non la darei per quante lingue oggi si trovano: cosí credo intervenga a voi. Però grato esser vi deve sentire la commedia nella lingua vostra. Avevo errato: nella nostra, non nella vostra, udirete la commedia; ché a parlare aviamo noi, voi a tacere. De' quali se fia chi dirà lo autore essere gran ladro di Plauto, lassiamo stare che a Plauto staria molto bene lo essere rubbato, per tenere, il moccicone!, le cose sua senza una chiave e senza una custodia al mondo; ma lo autore giura, alla croce di Dio, che non gli furato questo (facendo uno scoppio con la mano); e vuole stare a paragone. E, che ciò sia vero, dice che si cerchi quanto ha Plauto, e troverrassi che niente gli manca di quello che aver suole: è, se cosí è, a Plauto non è suto rubbato nulla del suo. Però non sia chi per ladro imputi lo autore. E, se pure alcuno ostinato ciò ardisse, sia pregato almeno di non vituperarlo accusandolo al bargello; ma vada a dirlo secretamente nell'orecchio a Plauto. Ma ecco qua chi vi porta lo Argumento. Preparatevi a pigliarlo bene, aprendo ben ciascuno il buco de l'orecchio.