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Bernardo Dovizi detto Bibbiena
La Calandria

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SCENA DODICESIMA

 

Fulvia, Calandro.

 

FULVIA Oh, valente marito! Questa è la villa dove andar dicevi? A questo modo, ah? Non hai da far tanto a casa tua che tu vai sviandoti altrove? Misera me! A chi porto io tanto amore, e a chi tanta fede servo? Or so perché, le notti passate, non mi ti sei mai appressato: come quello che, avendo a scaricare le some altrove, volevi arrivare fresco cavalieri in battaglia. In fede mia, non so come io mi tengo che io non ti cavi gli occhi. E forse che non pensavi ascosamente farmi questo inganno? Ma, per mie , tanto sa altri quanto tu. E a questa ora, in questo abito, d'altri non fidandomi, io propria son venuta per trovarti. E cosí ti meno, come tu sei degno, sozzo cane, per svergognarti e perché ognuno prenda compassione di me che tanti oltraggi da te sopporto, ingrato! E pensi tu, dolente, se io rea femina fussi come tu reo omo sei, che modo mi mancasse da sollazzarmi con altro, come tu con altra ti sollazzi? Non credere: perché io né si vecchia brutta sono che rifiutata fussi, se piú a me stessa che alla tua gaglioffezza rispetto non avessi avuto. Vivi sicuro che ben vendicata mi sarei contro a colei che a canto ti trovai. Ma va' pur . Non abbia mai cosa che mi piaccia, se non te ne pago e di lei non mi vendico.

CALANDRO Hai finito?

FULVIA .

CALANDRO Col mal anno, lassa che mi corrucci io, non tu, dispettosa! ché m'hai cavato del paradiso mondano e toltomi ogni mio sollazzo. Fastidiosa! Tu non vali le scarpette vecchie sue, che la mi fa piú carezze e meglio mi bacia che tu non fai. Ella mi piace piú che la zuppa del vin dolce, e luce piú che la stella diana, e ha piú magnificenzia che la quintadecima, et è piú astuta che la fata Morgana: che tu non te l'aresti però inghiottita, no, malvagia femina che tu sei! E se tu mai le fai male, trista a te!

FULVIA Orsú! Non piú! In casa, in casa. Apri. Olà! Apri.

 

 

 




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