I fondatori e le fondatrici, pur
nel desiderio di vivere tutto il Vangelo, generalmente sono colpiti da
particolari passi evangelici, e su di essi hanno posto le basi per le loro
opere e con essi le hanno animate. È questa la componente fondamentale del loro
carisma.
Francesco incarna la povertà che
nasce dall’amore; Domenico la sapienza che è illuminata dalla carità; Ignazio
l’obbedienza che per l’amore si identifica con i bisogni della Chiesa; Teresa
d’Avila la preghiera che è amicizia, diventa servizio e forma i servi
dell’amore; Giovanni di Dio e Camillo de Lellis la carità fatta opera di
misericordia; Eugenio de Mazenod l’evangelizzazione per i poveri con l’amore di
Cristo; Giovanni Bosco la pedagogia verso i giovani, tutta sostanziata di un
amore che previene e attira .
Il succedersi dei carismi della
vita consacrata può essere letto come il dispiegarsi di Cristo nei secoli, come un Vangelo vivo che si attualizza in
sempre nuove forme10. L’aveva accennato intuitivamente Pio XII nella Mystici Corporis: «La Chiesa, quando
abbraccia i consigli evangelici, riproduce in sé la povertà, l’ubbidienza, la
verginità del Redentore. Essa, per molteplici e varie istituzioni di cui si
orna come di gemme, fa vedere in certo modo Cristo in atto di contemplare sul
monte, di predicare ai popoli, di guarire gli ammalati e i feriti, di
richiamare sulla buona via i peccatori, di fare del bene a tutti...». È il
testo ripreso dal Concilio Vaticano II:
la Chiesa, mediante i carismi della vita consacrata, si adopera affinché meglio
sia presentato Cristo ai fedeli e agli infedeli «o mentre egli contempla sul
monte, o annunzia il regno di Dio alle turbe, o risana i malati e i feriti e
converte a miglior vita i peccatori, o benedice i fanciulli e fa del bene a
tutti, sempre obbediente alla volontà del Padre che lo ha mandato» (Lumen gentium, 46). In
maniera più sobria, ma ugualmente efficace, Giovanni Paolo II scrive che lo
Spirito Santo «nel corso dei secoli dispiega le ricchezze della pratica dei
consigli evangelici attraverso i molteplici carismi e, anche per questa via
rende perennemente presente nella Chiesa e nel mondo, nel tempo e nello spazio,
il mistero di Cristo» (Vita consecrata
5, cf 32).
Ogni carisma nasce in un
determinato periodo storico e in un suo contesto culturale, è debitore del suo
tempo e risente dei tratti umani delle personalità che l’hanno espresso.
Tuttavia, in una profonda lettura teologica, quanti hanno ricevuto il carisma
per dare vita ad una famiglia religiosa - al di là delle contingenze storiche -
hanno incarnato in modo del tutto particolare determinate “Parole di vita”. Il
carisma appare nella sua origine più alta: il Verbo incarnato che si manifesta
e si dice attraverso tali persone che sono come parole dell’unica Parola,
aspetti particolari della totalità del Vangelo. Nelle loro opere si rispecchia
un mistero di Cristo, una sua parola, si rifrange la luce che emana dal volto
di Cristo, splendore del Padre. «Nell’unità della vita cristiana - scrive
Giovanni Paolo II nell’Esortazione apostolica Vita consecrata - le varie vocazioni sono come raggi dell’unica
luce di Cristo “riflessa sul volto della Chiesa”» (n. 16). Ogni carisma è
sostanziato dal Verbo, espressione del Verbo: lo contiene e lo manifesta.
Quanti, sotto l’azione dello
Spirito Santo, sono all’origine di un nuovo tipo di “lettura” evangelica
considerano i particolari tratti evangelici sui quali vengono attratti dallo
Spirito, come la “perla preziosa”, il “tesoro” a loro svelato in modo
privilegiato. Sentono di comprenderlo e di poterlo sviscerare in profondità e
con una modalità nuova, forse mai raggiunta prima nella Chiesa11.
È per questo che ogni fondatore e
fondatrice guardando alla propria opera la vede sempre come la più bella.
Apprezza le altre e magari le valuta migliori sotto molteplici aspetti, ma
nella propria trova sempre qualcosa di originale, che ai suoi occhi la fa
vedere appunto come la migliore. San
Camillo de Lellis, ad esempio, usava dire ai suoi compagni: «Fratelli,
ringraziate Iddio perché vi è toccata la pietanza grossa della carità degli
infermi», per cui «la nostra Religione non ha da aver invidia ad alcun’altra
Religione del mondo». In effetti «questa Religione precede le altre, in quanto
che consiste nelle opere di carità ministrando e servendo li poveri e infermi
che sono figliuoli di Cristo» (Testimonianze rese al processo di Napoli e a
quello di Roma, riportate da Vanti, S.
Camillo de Lellis, Torino 1929, p. 380). «Preferite gli altri ordini al
vostro per quanto riguarda l’onore e la stima – diceva S. Francesco di Sales
alle Visitandine –, ma preferite il vostro a tutti gli altri per quanto
riguarda l’amore (...)»12. Anche S. Vincenzo de Paoli asserisce: «Non
conosco una Compagnia religiosa più utile alla Chiesa delle Figlie della
Carità»13. Essa è tale «che non ne conosco di più grandi nella Chiesa».
Il mio fondatore, sant’Eugenio de Mazenod non aveva paura ad affermare: «Non
c’è nulla sulla terra al di sopra della nostra vocazione»14. «Possono
esserci ordini più severi, ma non ce ne sono di più perfetti»15.
Vale in modo eminente per i
fondatori e le fondatrici quanto von Balthasar scrive dei santi in generale:
sono «una nuova interpretazione della rilevazione, un arricchimento della
dottrina riguardo a nuovi tratti finora poco considerati. Anche se essi stessi
non sono stati teologi o dotti, la loro esistenza nel suo complesso è un
fenomeno teologico che contiene una dottrina vera, donata dallo Spirito Santo».
Essi rappresentano «quella parte viva ed essenziale della tradizione che, in
tutti i tempi, mostra lo Spirito Santo nell’atto di interpretare in modo vivo
la rivelazione di Cristo fissata nella Scrittura. (...) Sono “il vangelo
vivente”. (...) Solo chi abita egli stesso lo spazio della santità può comprendere
e interpretare la parola di Dio»16.
Sì, veramente «è stato lo Spirito
Santo ad illuminare di luce nuova la Parola di Dio ai fondatori e alle
fondatrici. Da essa è sgorgato ogni carisma e di essa ogni Regola vuole essere
espressione» (Ripartire da Cristo, 24).
Potremmo dire che fondatori e
fondatrici non praticano la lectio divina: sono una lectio divina.
Non ascoltano, non meditano, non pregano la Parola di Dio: la rivivono in sé
stessi e la propongono viva e attualizzata alla Chiesa e al mondo. Il passo
della Lumen gentium, precedentemente citato, che descrive la
molteplicità dei carismi è molto esplicito al riguardo: i carismi presentano
“ai fedeli e agli infedeli” non un’azione, ma una persona, Cristo: Cristo che
contempla e non tanto la contemplazione; Cristo che annuncia il Regno,
piuttosto che un’azione missionaria; Cristo che risana i malati, non un
ministero caritativo. Necessariamente Cristo si mostra attraverso un’azione e
un’opera concreta. E questa è una componente fondamentale del carisma. Ma il
soggetto è Cristo, il Verbo che si esprime in quella sua parola.
In definitiva la vita della
Chiesa ci appare come la progressiva esperienza del mistero cristiano, la
partecipazione sempre più piena libera e cosciente alla vita di Cristo nella
Chiesa, la graduale assimilazione dei valori evangelici e la conseguente
integrale trasformazione del proprio essere in quello di Cristo.
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