Dopo avere illustrato questo dato
fondamentale: il carisma dei fondatori e delle fondatrici è “Parola di vita”,
torniamo all’asserto fondamentale che preferisco volgere in interrogativo: il
carisma resta sempre incontaminato, profetico e attuale? Potremmo formulare
con maggiore concretezza la domanda: il carisma è legato alla caducità della
domanda e della risposta ai segni dei tempi o ha in sé la permanente profezia
della Parola di Dio?
Il carisma di un fondatore,
abbiamo detto, è Vangelo che si fa storia, che si incultura. Non possiede
quindi la purezza della Parola di Dio come evento assoluto e definitivo. È
Parola che si adatta a determinate situazioni, che si traduce in dimensioni di
vita, in atteggiamenti, in servizi. Proprio per questo si mostra efficace,
risponde alle attese, diventa propositiva. Potremmo accostarlo al sacramento
che ha una sua “res” ed un suo segno materiale, visibile, che fruisce la “res”.
Ed ecco allora la domanda: cambiando la storia, le culture, le domande,
cambiano anche le modalità di presenza e di risposta del carisma?
La lettera apostolica Ecclesiae sanctae, all’indomani del
Concilio Vaticano II, già indicava come uno dei principali criteri di
«rinnovamento adeguato» la distinzione tra lo «spirito d’origine» di ogni
istituto (possiamo leggere qui la sua componente evangelica, cristologica,
carismatica) e gli aspetti contingenti e caduchi con i quali esso è stato
vissuto, per poi concludere: «Bisogna considerare disusati gli elementi che non
costituiscono la natura e i fini dell’Istituto e che, avendo perduto il loro
senso e la loro forza, non aiutano più realmente la vita religiosa» (II, 14,
3).
È l’invito a far emergere le
intenzioni e gli ideali del fondatore, astraendoli dal loro contesto storico,
sociale, culturale, per poi procedere a riesprimerli nelle forme culturali
odierne e in nuovi ambienti. Il carisma fondazionale è qualcosa di vivo e
procede come una realtà viva. A volte è necessario trapiantarlo e coltivarlo in
un terreno nuovo: in Ucraina, in India, in Brasile, in Congo; o in nuove realtà
culturali dell’Europa, degli Stati Uniti, del Canada, dell’Australia che lo
interpellano, lo sfidano. Il carisma, a sua volta, sfida ed interpella questi
nuovi terreni e può gettare polloni di vita nuova, sprigionando virtualità già
presenti nel seme, ma che per esprimersi avevano bisogno di stimoli differenti.
In questa interazione mutua, l’ispirazione evangelica iniziale si rivitalizza
ed è capace di nuovi gettiti di vita.
Il Concilio, in altri termini, si
era posta una domanda che andava in questa linea: «Cosa farebbe oggi il
fondatore e la fondatrice se fossero al mio posto?». In questo interrogativo
veniva espressa una duplice esigenza: l’attenzione costante all’ispirazione
carismatica iniziale (Cosa farebbe il fondatore e la fondatrice?) e l’attenzione
alle situazioni nuove (cosa farebbe se fosse al mio posto?). In questo cammino
costante verso il presente sempre nuovo il religioso e la religiosa di oggi
hanno un sicuro punto di riferimento: la Parola di Dio che ha guidato fondatori
e fondatrici nella lettura dei segni del loro tempo e nella ricerca delle
risposte. La Parola di Dio continua ad essere “lampada ai nostri passi, luce
sul nostro cammino” (cf Sal 118, 105).
Ma per poter rispondere a questa
domanda ingenua: «Cosa farebbe oggi il fondatore e la fondatrice se fossero al
mio posto?», occorre tener presente un altro elemento: la tipicità del carisma
della vita religiosa. A differenza di altri tipi di carismi questo è frutto di
un’azione dialogica, esprime un’alleanza. Dio liberamente e gratuitamente offre
il suo dono, ma da parte di chi lo riceve occorre accoglienza docile,
rispondenza e adeguamento. Il carisma della vita religiosa non possiede
l’efficacia dell’“ex opere operato” tipico del sacramento.
Ogni fondatore e fondatrice è
testimone della docilità con cui si è lasciato guidare da Dio e dell’aderenza
alla sua azione, fino a porre se stesso, mente, cuore, energie, doti naturali,
interamente al servizio del progetto che gli veniva man mano svelato. Il
cammino carismatico coincide il più delle volte con il cammino di santità.
La domanda da porsi è allora la
seguente: come scoprire e mantenere sempre viva l’ispirazione evangelica delle
origini?
Perché il carisma rimanga
“incontaminato, profetico e attuale” occorre mettersi sulle orme del fondatore
e della fondatrice, nella stessa docilità allo Spirito, e ripercorrere il suo
stesso itinerario di fede. Se, come abbiamo letto in Ripartire da Cristo,
«è stato lo Spirito Santo ad illuminare di luce nuova la Parola di Dio ai
fondatori e alle fondatrici», se «da essa è sgorgato ogni carisma e di essa
ogni Regola vuole essere espressione», «in continuità con i fondatori e le
fondatrici anche oggi i loro discepoli sono chiamati ad accogliere e custodire
nel cuore la Parola di Dio perché continui ad essere lampada per i loro passi e
luce sul loro cammino (cfr. Sal 118, 105). Lo Spirito Santo potrà allora
condurli alla verità tutta intera (cfr. Gv 16, 13)» (24).
Occorre quindi lasciarsi condurre
dallo Spirito là dove si sono lasciati condurre i fondatori e dove ha avuto
inizio il loro cammino: al Vangelo. Se i carismi e gli istituti possono essere
paragonati a fiori sbocciati dal Vangelo, di certo essi conserveranno o
ritroveranno la loro freschezza, e quindi saranno pienamente se stessi, nella
misura in cui saranno capaci di andare alla radice da cui sono nati,
immergendosi nuovamente nell’intero Vangelo e nella completezza del mistero di
Cristo. Come ho avuto modo di scrivere altrove17,
guardando al giardino della Chiesa si ha spesso l’impressione che tanti fiori
siano appassiti. Per ridare vita al proprio fiore, quanti sono chiamati a
vivere quel determinato carisma il più delle volte appaiono intenti a soffiare
sui petali - per rimanere nell’immagine - o a puntellarli in modo che la corolla
si rialzi e stia su. È un’operazione effimera e inutile. Perché il fiore
riabbia vita bisogna intervenire alla radice, non sulla corolla. Bisogna dare
acqua alla pianta. Fuori metafora: si tenta in tutti i modi di salvare
l’identità della propria spiritualità e lo specifico del proprio istituto
studiando il proprio particolare, enfatizzandolo, cercando di proteggerlo da
pretese ingerenze esterne... È un lavoro valido ma insufficiente. Occorre il
coraggio di andare più in profondità. Occorre ritrovare la pienezza di vita
evangelica che alimenta quella determinata spiritualità. L’acqua e l’humus fecondo sono comuni a tutti i
fiori, quale che sia la loro varietà.
Ogni spiritualità e ogni istituto
ad essa legato deve tornare ad essere parola
nell’unica Parola. Vivendo il Vangelo
in pienezza si avrà luce per cogliere la particolare dimensione evangelica da
cui la spiritualità è sgorgata.
È un percorso che non si può fare
da soli. Dando origine a una determinata famiglia religiosa, lo Spirito ha
voluto suscitare non un santo o una persona carismatica, ma un corpo di santi,
un intero gruppo carismatico composto da uomini e donne guidati da un nuovo
progetto di vita realizzabile soltanto nella misura in cui è vissuto e portato
avanti insieme. Il carisma di un istituto possiede, per sua natura, una
intrinseca dimensione comunitaria. Di conseguenza, l’andare alle radici sorgive
del proprio carisma non è mai un fatto individuale. Il carisma non può essere
percepito e ricostruito in tutta la sua ricchezza di valori e contenuti se non
nell’unità tra i membri dell’istituto che, insieme, sono i depositari e i
portatori del carisma. Sarà il Risorto presente nella comunità unita nel suo
amore che, come a Pentecoste, comunicherà il suo Spirito, rendendola interprete
qualificata del carisma.
Ma occorre qualcosa di più
ancora. Per cogliere in pienezza la “parola” di cui ogni spiritualità è
portatrice, e quindi il divino che è in essa, non ci si può limitare ad
approfondire il proprio particolare, si domanda piuttosto di vivere la
comunione ecclesiale spaziando su tutte le realtà divine della Chiesa. Soltanto nel rapporto di unità con tutti
i carismi si comprende la radice comune che tutti li lega e li alimenta. In tal
modo si giunge ad una graduale acquisizione sperimentale della “mirabile
varietà” di cui la Chiesa è ricca. Allora si potrà cogliere l’autentica
peculiarità di ognuna e comprendere la propria spiritualità e la propria
famiglia religiosa non come qualcosa di assoluto, ma come parte di una realtà
più vasta, inserita in un organismo vivente.
Per il fatto che il mistero di
Cristo è inesauribile e inesauribile la ricchezza della sua parola, ogni
spiritualità ha bisogno del dono dell’altra, della luce dell’altra, per capire
in profondità se stessa. Allo stesso modo come ogni mistero di Cristo per
essere compreso in tutta la sua profondità ha bisogno di essere letto
nell’insieme dei suoi misteri, e come un brano evangelico per una fruttuosa
esegesi ha bisogno di essere collocato nel suo contesto e nell’economia
dell’intero Vangelo. Senza la visione unitaria del mistero di Cristo, senza la
lettura unitaria della sua parola, i particolari, presi a sé stanti, possono
venire distorti. Così senza la piena comunione fra tutti i carismi e le
spiritualità ad esse legati, difficilmente si può avere il senso vero di
ciascuno di essi. «Se il Vangelo deve essere predicato nella sua integrità, e
se il Cristo non deve essere presentato diviso o lacerato, l’urgenza di
ricomporre in unità il Vangelo incarnato e dispiegato nel tempo e nello spazio
è chiamata pressante alla comunione e all’unità fra i religiosi, a tutti i
livelli. Se infatti ogni carisma è tessera di identità della propria famiglia
religiosa, è pure capacità di comunione con tutti gli altri carismi. Il Cristo
totale attira come una calamita tutti i suoi frammenti verso l’unità. Lo
Spirito dell’unità richiama tutti ad essere in comunione reciproca, insieme,
affinché Cristo sia annunziato e comunicato ed il mondo creda»18.
Termino con un testo di Chiara
Lubich che ho già citato quando, già una volta, sono stato in mezzo a voi a
parlare del rapporto tra carismi antichi e nuovi: «Noi dobbiamo soltanto far
circolare fra i diversi Ordini l’Amore. Si devono comprendere, capire, amare
come si amano [tra di loro] le Persone della Trinità. Fra essi c’è come
rapporto lo Spirito Santo che li lega perché ognuno è espressione di Dio, di
Spirito Santo». È lui che le unifica
«portandole al loro primo principio che era santo».
Allora, per quanto sono Parola
vissuta, i carismi rimangono. Rimangono ben al di là della storia. La loro
esistenza terrena è contingente, racchiusa in un determinato arco di secoli. Ma
il disegno di Dio che in essi si è sprigionato rimane per l’eternità come verbo
nel Verbo.
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