In tal
senso, la formazione è una sfida tra le più qualificanti per gli anni futuri,
un ‘cantiere aperto’ che sollecita la necessità di trovare ‘percorsi nuovi’ di
ricerca e di realizzazione.
Uno di questi
percorsi ‘nuovi’, forse ancora ‘inesplorati’ da una riflessione sistematica ed
articolata, è appunto il rapporto
identità-cultura-vocazione. Proprio perché all’incrocio di molteplici
attese e prospettive, la tematica dell’identità vista in rapporto
alla cultura e alla vocazione, può offrire un contributo all’elaborazione di
nuove sintesi, che tradotte in termini operativi, potranno facilitare il
processo di inculturazione del carisma e della formazione di identità
vocazionali capaci di far fronte al cambiamento, nella gioia di essere ciò che
siamo chiamate ad essere nel contesto europeo attuale. Ad essa si
ricollegano alcune questioni di fondo che sono cruciali, come quella dell’identità
carismatica, dell’inculturazione e dell’interculturalità.
La questione dell’identità
carismatica è centrale. Ripensare all’identità e al suo rapporto con il
carisma in un contesto universale, ma anche particolare, significa affrontare
necessariamente il tema della fedeltà e, dunque, della risposta che, a livello
personale, comunitario e come Istituto, dovremmo dare per riandare alle radici
carismatiche, non come parte di un passato, seppur glorioso, ma come utopia del
futuro. Si tratta cioè di alimentare una fedeltà che tenta di ridisegnarsi nel
cuore della storia con le sue istanze e le sue sfide. E tutto ciò comporta il
coraggio di interrogarsi continuamente sulla ‘direzione’: “Dove stiamo andando? Perché e per chi formarsi e
formare?” Continuare a conservare o a gestire lo status quo non è
possibile, può diventare stagnante, sicché il rinnovamento invocato e la
rifondazione ‘sognata’ rischiano di trasformarsi in puro adattamento che non
riesce a guardare più in là. La flessibilità e la capacità di vivere il
cambiamento come risposta di fedeltà prima che al passato al futuro sembrano
farsi sempre più rare. Si richiedono personalità aperte, flessibili e
sufficientemente stabili per affrontare le crisi innegabili derivanti dalla
ristrutturazione e dai molti esodi richiesti per vivere la propria vocazione,
ora e qui, nella storia. Difatti, non pochi problemi,
anche personali, sono da ricondursi all’incertezza della transizione storica
che stiamo attraversando, in cui pluralismo culturale e globalizzazione hanno
messo in questione l’identità, rendendo sempre più problematici i processi di
formazione dell’identità personale e culturale, soprattutto nei giovani. Il
dono di nuove generazioni che, culturalmente diverse, entrano a far parte delle
nostre famiglie religiose, se da un lato costituisce una sfida che riguarda
tutto - spiritualità, formazione, comunità, missione, governo, economia - è
anche un impegno tutto da costruire. Le nuove vocazioni portano con sé una
nuova sensibilità culturale ed etnica e l’identità carismatica necessariamente
è sottoposta a processi di discernimento e di cambiamento.
Lo sviluppo e la continuità del carisma nel
tempo sono legati al segreto di un’efficace trasmissione generazionale dei
valori vocazionali nelle comunità locali e attraverso processi identificativi
generatori di entusiasmo e di appartenenza. Ciò suppone, soprattutto nell’ambito
della formazione permanente, apprendere ad elaborare continuamente la propria
identità vocazionale, mediante processi di maturazione e riappropriazione nei
diversi contesti culturali.
Il processo di inculturazione,
autentico kairós per la Chiesa e per l’Istituto, è un altro aspetto
nodale. Il complesso travaglio dell’inculturazione, come lo chiama il Papa in Vita
Consecrata, si sta realizzando molto lentamente e non sempre con modalità
efficaci e coerenti per la fecondità del carisma.3 Non mancano
opportunità e rischi, per questo l’urgenza di una riflessione seria e di una
verifica costante in attitudine di ricerca e discernimento. Si tratta di un
processo ineludibile perché da esso dipende la capacità di rinnovamento della vita
religiosa e la fedeltà creativa al carisma. Tutta la formazione nei suoi
percorsi e processi ha come prospettiva l’impegno di assumere il dinamismo
profetico del carisma per tradurre l’intuizione originaria dei fondatori nella
realtà concreta in cui viviamo ed operiamo. La fedeltà al carisma deve
diventare capacità di accoglienza di una ‘consegna’ che viene arricchita
continuamente mediante il vissuto personale e comunitario e nel confronto con
le istanze evangeliche e culturali. L’esperienza vocazionale vissuta con gioia
e in pienezza dalle precedenti generazioni, resa visibile da una identità di
vita chiara e significativa, genera così germogli nuovi che continueranno a
loro volta a elaborare nuovi percorsi identitari, «in fedeltà alla grazia della
vocazione ricevuta e con attenzione alla storia»,4 sempre più con il
colore e il volto delle singole culture e dei contesti diversificati in cui si
vive.
Il nodo dell’interculturalità nelle
nostre comunità. Il fitto reticolo di società multietniche, multiculturali e
multireligiose, che si è costituito nel mondo attuale, è ormai un processo
inarrestabile che sollecita a sviluppare inediti moduli di convivenza e un
nuovo modo di fare educazione e formazione, anche se sul piano dei processi
soggettivi la logica della ‘monocultura’ stenta a scomparire. Basti pensare al
ritorno di forti tensioni d’identità, di nostalgia dell’appartenenza, della
piccola patria, delle culture locali che sta rendendo sempre più difficile la
reciproca tolleranza e la convivenza tra popolazioni della stessa area
culturale, ma contrassegnate da differenti tradizioni, valori e consuetudini.
Una delle obiezioni più stimolanti in proposito è quella che il dialogo
interculturale possa danneggiare le singole identità culturali, che il pluralismo
porti al relativismo o alla perdita dei sistemi di significato e di valori.
Pluralismo e dialogo non comportano la perdita dell’identità, ma aprono
all’alterità e dunque alla ricchezza delle diversità. Ciò esige dei percorsi di
educazione interculturale che favoriscano il riconoscimento e la
riappropriazione della propria identità per saper interagire con altre
identità.
La dimensione planetaria in cui siamo
immerse apre ad una ‘mondialità’ sempre più allargata di cui
l’internazionalizzazione e l’interculturalità ne sono l’espressione più
eloquente. E ciò non è più soltanto ‘utopia’, ma costituisce un appello e un
compito per le società civili, e anche per la vita consacrata. La comunità
religiosa allora può divenire profezia, se è capace di vivere e testimoniare
l’utopia di una cultura e identità planetarie, la possibilità dell’incontro e
del dialogo tra nazioni e culture diverse in una pacifica convivenza di popoli
e religioni. Ogni comunità che accetta la sfida dell’interculturalità diventa
così paradigma di comunione, dove è possibile coniugare insieme specificità e
universalità, mondialità e localismo, identità e alterità, uguaglianza e
differenza, unità e diversità.
Davanti a tali questioni dallo spessore
storico-culturale polimorfo e dinamico, punto nodale è la formazione.
L’impegno per la formazione, infatti, è una strategia prioritaria, chiave di
soluzione per le nuove sfide poste alla vita consacrata. L’interrogativo che ci
accompagna e ci inquieta in questo tempo è: ‘quale futuro per la formazione?’
L’esperienza di questi anni ci sollecita ad interrogarci seriamente se i
modelli formativi tuttora esistenti siano in grado di rispondere a tali
interpellanze o se invece sia necessario un ripensamento e un salto di qualità.
Come è vissuta la situazione
d’internazionalità e d’interculturalità delle nostre comunità e come viene
gestita perché sia realmente ‘formativa’, perché aiuti cioè a far maturare
‘identità’ capaci di assumere la propria cultura e di integrarsi con altre
culture diverse, senza perdere le proprie radici, arricchendosi dell’apporto
valoriale proveniente dall’incontro con la diversità?
Le vocazioni provenienti dai differenti
contesti culturali, nazioni o etnie come assumono la propria identità culturale
lungo il cammino di formazione dell’identità vocazionale? Quali sono le
difficoltà o i problemi più frequenti nelle nostre comunità, ormai sempre più
multiculturali e multietniche? E quali potrebbero essere i percorsi formativi
che rendono possibile tutto ciò?
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