Un primo processo,
universalmente riconosciuto come fondamentale, è l’identificazione, vale a dire, quel sentimento di affermazione, di
appartenenza e di valorizzazione del gruppo etnico-territoriale al quale i soggetti
appartengono. Gli indicatori di questa componente sono: l’orgoglio nei
confronti di tale gruppo, l’importanza attribuita a tale appartenenza e la loro
condivisione (vicinanza) delle sue tradizioni culturali.
Un altro processo è
l’esplorazione, cioè, quell’attività
di ricerca e valutazione delle alternative identitarie possibili, mediante una
‘immersione’ nella propria cultura o mediante attività di vario genere che
portano alla comprensione e all’apprezzamento della propria etnicità. Ciò
include sia un’esplorazione-conoscenza delle caratteristiche del proprio gruppo
di appartenenza sia un’esplorazione-conoscenza delle caratteristiche di gruppi
etnici di non appartenenza.
C’è poi un altro processo denominato l’impegno, che prende in considerazione l’importanza che
l’appartenenza etnico-territoriale riveste per l’elaborazione dell’immagine di
sé.
Accanto a questi
processi non si può trascurare il confronto
sociale e culturale con gli altri
gruppi. Una componente essenziale, che funziona da indicatore d’analisi, è data
dagli atteggiamenti di favore o sfavore nei confronti dei rapporti con persone
appartenenti ad altri gruppi etnico-territoriali.
Un’altra serie di
processi riguarda invece le modalità d’integrazione che la persona mette
in atto nel momento in cui s’inserisce nel contesto di altre culture o si
immerge sempre più nella cultura del proprio tempo:
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l’assimilazione, mediante il quale si tende a privilegiare la cultura ospitante a
quella di origine e ciò può facilitare l’acculturazione
e l’integrazione (frequente è il bi-culturalismo). Secondo tale assunto
però l’individuo tenderebbe ad adeguarsi alle aspettative dell’ambiente
culturale in cui deve inserirsi. L’aspettativa, talvolta esagerata e
‘pregiudiziale’, che condiziona di più è quella che tutti gli ‘stranieri’, o
comunque quelli che provengono da una diversa cultura, dimentichino la propria
appartenenza e la propria cultura, imparano a parlare la lingua del posto e
diventino così come gli altri. Il rischio è quello di perdere ogni colore e
specificità pur di ‘sopravvivere’ nell’impatto con gli altri.
*
l’integrazione: se si pensa la società come qualcosa di culturalmente omogeneo, come
il risultato dell’adattamento degli individui ‘diversi’ e del cambiamento del
loro modo di vivere e di pensare tanto quanto basta per sentirsi a loro agio
con lo stile di vita dell’ambiente culturale in cui si inseriscono, nasce la
sollecitazione a non pretendere l’abbandono totale della propria cultura o
della propria identità etnica, ma a tollerare le differenza tra le culture.
*
la
separazione è un altro processo dinamico, che si
colloca all’opposto dei primi due, nel senso che, al contrario, si privilegia l’appartenenza alla cultura d’origine e
dunque ci si pone in una posizione di ‘marginalità’.
Il rischio più frequente per questo tipo di processo è dato dal fatto che la
persona o il gruppo si chiudono in una sorta di isolamento che non solo
impoverisce, sul piano culturale, affettivo e relazionale, ma può portare anche
a conflittualità (noi contro gli altri) sicuramente
distruttive.
Occorre tuttavia
domandarsi: Quale integrazione? Quale interazione? Per evitare il rischio di
confondere l’integrazione con pseudo-forme di assimilazione per finire poi con
il negarla mediante la separazione, è indispensabile individuare delle modalità
di integrazione che salvaguardano il rispetto della diversità e nello stesso
tempo garantiscano il dialogo e la comunione. Gli studi e le ricerche condotte
finora hanno messo in evidenza, oltre al carattere
interattivo e dinamico dell’identità, anche il ruolo dell’altro nella rappresentazione dell’identità culturale.
C’è una specificità collettiva costituita da tratti distintivi e significativi,
che però, pur conservando la propria originalità, inevitabilmente si modificano
e si trasformano nell’interazione. Nel contatto con altre culture avviene,
cioè, una riorganizzazione dei tratti distintivi identificatori che non è così
scontata. Non sempre infatti si riesce a farsi carico delle diversità: si
potrebbe di fatto rifiutarle o accettarle acriticamente omologandosi.
É necessario,
pertanto, fare attenzione, perché non scattino meccanismi d’identificazione
proiettiva o di valutazione selettiva, a creare delle condizioni di tempo e
spazio perché le persone apprendano un complesso di regole, codici e simboli in
virtù dei quali potersi orientare nel ‘nuovo spazio’ e nel ‘nuovo tempo’, e
potersi costruire dei contenitori sufficientemente protettivi e difensivi della
propria identità. A volte c’è il bisogno di scoprire e, allo stesso tempo, di
non lasciarsi interamente conoscere (sia nei giovani sia negli adulti). Mi
riferisco all’impatto che le nuove generazioni possono avere con l’Istituto al
momento dell’ingresso o nelle prime fasi della formazione iniziale e
dell’inserimento in una nuova ‘cultura’, cioè, in un nuovo modo di pensare, di
relazionarsi e di agire, in un nuovo stile di vita.
Nell’esperienza
graduale di elaborazione e di riappropriazione dell’identità tre sono i
referenti maggiormente implicati e che vanno ad ogni modo salvaguardati: lo
spazio geografico, lo spazio corporeo e quello linguistico, come del resto avviene per il bambino in cui le
modificazioni nello spazio si muovono appunto in questi tre ambiti:
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lo spazio
geografico dove si iscrive lo spazio ambientale, soprattutto quello
familiare, con le sue simbolizzazioni e immaginazioni;
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lo spazio
del corpo che corrisponde all’esperienza del sé corporeo. Ogni cultura
possiede una sua modalità di concepire lo spazio corporeo, le frontiere
dell’intimità, le condizioni della conversazione, i modi di ricevere, di
mangiare, di curare l’igiene del proprio corpo: questa è una dimensione molto
profonda difficile da modificare e da elaborare;
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lo spazio
linguistico che, oltre alla lingua, comprende anche i sistemi di
comunicazione non-verbali, i mondi vitali e di significato.
Ogni itinerario
formativo dovrà prendere in considerazione la necessità di salvaguardare questi
tre spazi per favorire un corretto processo di individuazione e di
rielaborazione dell’identità personale e culturale delle singole persone. I
diversi mutamenti nell’identità personale che si realizzano in concomitanza con
l’assunzione dell’identità vocazionale carismatica hanno come presupposto di
base le modificazioni tipiche di questi tre spazi. Se essi non vengono rispettati
possono nascere dei disturbi dell’identità non sempre facilmente riconoscibili
come tali. Si pensi, ad esempio, a sentimenti di frustrazione, di inadeguatezza
o di inferiorità derivanti dalla non comprensione delle esigenze linguistiche o
geografiche, spesso legate a pregiudizi e stereotipi razziali o nazionalistici.
Così, la mancanza di attenzione allo spazio corporeo può essere all’origine di
problemi che toccano prevalentemente la sfera emozionale, affettiva e sessuale,
oltre che di disturbi della sfera alimentare, come l’anoressia o la bulimia.
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