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Giulio Cesare Croce
Bertoldo e Bertoldino (Cacasenno di A. Banchieri)

IntraText CT - Lettura del testo

  • Le sottilissime astuzie di Bertoldo. Nuovamente reviste e ristampate con il suo testamento nell'ultimo e altri detti sentenziosi che nel primo non erano
    • Il Re si mostra turbato forte e riprende le donne di tal fatto, poi gli perdona e le manda a casa.
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Il Re si mostra turbato forte e riprende le donne di tal fatto, poi gli perdona e le manda a casa.

 

Allora il Re mostrando avere a sdegno simil fatto, volto a loro con un viso turbato, disse: “Voi vi siete dunque lasciato scampare l'uccello fuori della scatola? Ahi, femine sciocche e di poco cervello! e poi avete ardimento di voler entrare ne' consigli segreti della mia corte? Or come potreste, ditemi voi, tenere un secreto, dove andasse l'interesse dello stato mio e della vita degli uomini, se un'ora intiera non avete potuto tener serrato una scatola, la quale io ho raccommandata con tanta instanza? Tornate dunque ai vostri esercizi e ad aver cura delle vostre famiglie e governare le case vostre, come è solito vostro, e lasciate il governo della città agli uomini. Io so che le cose andrebbono per i loro piedi, s'elle avessero a passare per le vostre mani: non vi sarebbe cosa tanto secreta e occulta che non si sapesse in un'ora per tutta la città. Orsù, levatevi su, ch'io vi perdono, e andate alle case vostre e non entrate mai più in simil frenetico”.

Poi licenziò similmente la Regina, facendola accompagnare sino alle sue stanze da molti cavalieri. Così si partirono quelle povere donne tutte di mala voglia, né mai più parlarono di entrare in consiglio, né di balottare o mettere fave, essendo elle state balottate per sempre dal Re per opera però dell'astuto Bertoldo, al quale il Re rivolto, ridendo, disse:

Re.  Questa è stata una bellissima invenzione, ed è riuscita molto bene.

Bertoldo.  Ben vada la capra zoppa, fin che nel lupo ella s'intoppa.

Re.  Perché dici tu questo?

Bertoldo.  Perché donna, acqua e fuoco per tutto si fan dar luoco.

Re.  Chi ha il seder nell'ortica, spesse volte gli formica.

Bertoldo.  Chi sputa contra il vento si sputa nel mostaccio.

Re.  Chi piscia sotto la neve forza è che si discopra.

Bertoldo.  Chi lava il capo all'asino perde la fatica e il sapone.

Re.  Parli tu forsi così per me?

Bertoldo.  Per te parlo apunto e non per altri.

Re.  Di che cosa ti puoi tu doler di me?

Bertoldo.  Di che poss'io lodarmi?

Re.  Dimmi in che cosa tu ti senti aggravato da me.

Bertoldo.  Io ti sono stato coadiutore in cosa di tanta importanza e tu in cambio di assicurarmi della vita mi dai la burla.

Re.  Io non son tanto ingrato ch'io non conosca i tuoi meriti.

Bertoldo.  Il conoscerli è poco, il tutto è il riconoscerli.

Re.  Taci, ch'io ti voglio rimunerare in guisa ch'io voglio che tu stia sempre a piè pari.

Bertoldo.  Anco quelli che sono appiccati stanno a piè pari.

Re.  Tu interpreti ogni cosa alla roversa.

Bertoldo.  Chi dice così l'indovina quasi sempre.

Re.  Tu dici male e fai male ancora.

Bertoldo.  Che male faccio io nella tua corte?

Re.  Tu non hai punto di civiltà né di creanza.

Bertoldo.  Ch'importa a te s'io son ben creato o scostumato?

Re.  M'importa assai, perché troppo villanescamente ti porti meco.

Bertoldo.  La causa?

Re.  Perché quando tu vieni alla presenza mia mai non ti cavi il cappello e non t'inchini.

Bertoldo.  L'uomo non deve inchinarsi all'altr'uomo.

Re.  Secondo le qualità degli uomini si devono usare le creanze e le riverenze.

Bertoldo.  Tutti siamo di terra, tu di terra, io di terra, e tutti torneremo in terra; e però la terra non deve inchinarsi alla terra.

Re.  Tu dici il vero, che tutti siamo di terra; ma la differenza qual è fra te e me non è altro se non che, sì come d'un'istessa terra si fanno varii vasi, parte che in essi tengono liquori preciosi e odoriferi e altri che servono a esercizi vili e negletti, così io sono uno di quelli che rinchiudono in sé balsami, nardi e altri liquori preciosi, e tu uno di quelli nei quali s'orina e vi si fa peggio ancora: e pure tutti sono fabricati da una mano istessa e d'un'istessa terra.

Bertoldo.  Questo non ti nego, ma ben ti dico che tanto sono fragili l'uno quanto l'altro, e quando ambo son rotti i pezzi si gettano per le strade e dall'uno all'altro non si fa differenza alcuna.

Re.  Orsù, sia come si voglia, io voglio che tu t'inchini a me.

Bertoldo.  Io non posso far questo, abbi pazienza.

Re.  Perché non puoi?

Bertoldo.  Perché io ho mangiato delle pertiche di salice e però non vorrei scavezzarle nel piegarmi.

Re.  Ah, villan tristo, io voglio al tuo dispetto che tu t'inchini, come tu torni alla presenza mia.

Bertoldo.  Ogni cosa può essere, ma duro gran fatica a crederlo.

Re.  Domattina si vedrà l'effetto; va' pur a casa per questa sera.

 

 




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