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Giulio Cesare Croce
Bertoldo e Bertoldino (Cacasenno di A. Banchieri)

IntraText CT - Lettura del testo

  • Le sottilissime astuzie di Bertoldo. Nuovamente reviste e ristampate con il suo testamento nell'ultimo e altri detti sentenziosi che nel primo non erano
    • La Regina manda di nuovo a chieder Bertoldo al Re.
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La Regina manda di nuovo a chieder Bertoldo al Re.

 

Mentre essi andavano così ragionando insieme, giunse un altro messo da parte della Regina, con una lettera la quale conteneva che il Re gli mandasse Bertoldo per ogni modo, ché, sentendosi ella un poco indisposta, voleva passare il tempo alquanto con le piacevolezze di lui. Ma ciò era al contrario, anzi ch'ella aveva fatto pensiero di farlo privar di vita, avendo inteso che per opera sua quelle matrone avevano ricevuto quello affronto dal Re, per lo quale erano in tanta rabbia che se l'avessero potuto aver nelle mani l'averiano lapidato. Il Re, letta la lettera, prestando fede alle parole della Regina, volto a Bertoldo, disse:

Re.  La Regina di nuovo mi t'ha mandato a domandare e dice ch'essendo alquanto indisposta vorrebbe che tu l'andasti un poco a trattenere e fargli passar l'umore con le tue piacevolezze.

Bertoldo.  Anco la volpe talora si finge inferma per trapolar i polastri.

Re.  A che proposito dici tu questo?

Bertoldo.  Perché né tigre, né femina fu mai senza vendetta.

Re.  Leggi qui, se tu sai leggere.

Bertoldo.  La prattica mi serve per libro.

Re.  Sdegno di donna nobile tosto passa via.

Bertoldo.  Le cernici coperte tengono un pezzo calda la cenere.

Re.  Non odi tu le buone parole ch'ella ti manda a dire?

Bertoldo.  Buone parole e tristi fatti ingannano i savi e i matti.

Re.  Orsù, chi ha d'andar vada, che l'acqua non è spada.

Bertoldo.  Chi è scottato dalla minestra calda soffia sulla fredda.

Re.  Da corsaro a corsaro non si perde altro che i barili vuoti.

Bertoldo.  Una cosa pensa il ghiotto, l'altra il tavernaro.

Re.  Il far servizio mai non si perde.

Bertoldo.  Servizio con danno, Dio ti dia il mal anno.

Re.  Non aver paura di nulla nella mia corte.

Bertoldo.  Meglio è esser uccello di campagna che di gabbia.

Re.  Orsù, non ti far bramar più; va' via, perché cosa tanto pregata poco è poi grata.

Bertoldo.  Tristo colui che essempio ad altrui.

Re.  Chi sta più, vorrebbe star più.

Bertoldo.  Chi spinge la nave in mare sta sulla riva.

Re.  Orsù, va' dove ti mando, e non temere.

Bertoldo.  Quando il bue va alla mazza, suda dinanzi e trema di dietro.

Re.  Fa' un animo di leone e va' via arditamente.

Bertoldo.  Non può far animo di leone chi ha il cuore di pecora.

Re.  Va' via sicuramente, che la Regina non ha più odio teco, ma s'è passata quella burla in riso.

Bertoldo.  Riso di signore, sereno di verno, cappello di matto, trotto di mula vecchia, fanno una primiera di pochi punti.

Re.  Non ti far più aspettare perché ogni tardanza è poi noiosa.

Bertoldo.  Orsù, io vado, poiché tu me lo comandi; vada come si vuole, in ogni modo, o per l'uscio o per la porta bisogna entrarvi.

 

 




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