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Giulio Cesare Croce
Bertoldo e Bertoldino (Cacasenno di A. Banchieri)

IntraText CT - Lettura del testo

  • Le piacevoli e ridicolose semplicità di Bertoldino. figliuolo del già astuto e accorto Bertoldo con le sottili e argute sentenze della Marcolfa sua madre e moglie del già Bertoldo   Opera tanto piena di moralità quanto di spasso
    • Erminio. chiama la Marcolfa e la prega aprirgli l'uscio.
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Erminio. chiama la Marcolfa e la prega aprirgli l'uscio.

 

Vedendo Erminio che quella femina s'era fortificata in casa, ancora che con un pugno esso avesse potuto battere giù l'uscio, nondimeno non volse però usarle atto alcuno d'inciviltà, ma chiamandola amorevolmente la cominciò a pregare ch'ella gli volesse aprire in cortesia, attento ch'essi non erano per fargli danno alcuno, ma solo per giovargli; ond'ella, affacciatasi a una picciola fenestruccia della detta capanna, così disse:

Marcolfa.  Che cosa cercate voi qua su per queste biche?

Erminio.  Aprite l'uscio, madonna, che noi non siamo venuti qua se non per farvi beneficio.

Marcolfa.  Non può fare beneficio di gran rilievo ad altri chi è fuora di casa sua.

Erminio.  Se ben noi siamo fuora di casa nostra, vi potiamo però fare assai giovamento. Venite alquanto fuora, che vi vogliamo parlare.

Marcolfa.  Chi cerca di cavarmi fuor di casa mia cerca più tosto nocermi che di giovarmi; però gite alla via vostra, che questo sarà il maggior giovamento che voi potiate farmi.

Erminio.  Dite, madonna mia, avete voi marito?

Marcolfa.  Chi cerca di sapere i fatti altrui mostra di curare poco i suoi.

Erminio.  Buono per miaffé; ma ditemi, per cortesia, se voi avete marito o no.

Marcolfa.  Io l'averei se esso non avesse mangiato.

Erminio.  Odi questa, se va a proposito. E come l'avereste voi, se esso non avesse mangiato?

Marcolfa.  Se esso non avesse mangiato pavoni, pernici, fagiani, tortore e altri cibi delicati, i quali erano contro la sua natura, ma avesse atteso a mangiare delle castagne, come era usato prima, esso sarebbe vivo, che ora egli è morto.

Erminio.  Buona proposizione affé; ma, ditemi, chi era questo vostro marito, se vi piace?

Marcolfa.  Il più bello e il più garbat'uomo che si potesse veder al mondo.

Erminio.  Come si chiamava esso per nome?

Marcolfa.  Poiché bramate saperlo, io ve lo dirò, e si chiamava Bertoldo.

Erminio.  Bertoldo dunque era vostro marito?

Marcolfa.  Signor sì.

Erminio.  O buona nuova per noi! E quello era il più bell'uomo del mondo?

Marcolfa.  Maidesì, anzi agli occhi miei esso parea un Narciso, perché a una donna onesta deve sempre più piacere il suo marito, che tutti gli altri.

Erminio.  E voi piacevate ad esso.

Marcolfa.  Non solo esso mi amava, ma di me avea una gelosia, che creppava.

Erminio.  Orsù, di qui chiaro si vede che ogni simile apetisce il suo simile, e in vero esso avea grandissima ragione d'esser geloso, perché certamente voi eravate una copia d'amanti molto lascivi.

Marcolfa.  La bellezza sta nel volto, sì, ma molto più nelle virtù e nelle belle qualità dell'animo, e però si suol dire per proverbio che non è bello chi è bello, ma bello chi piace; perché ancora vi sono degli uomini belli, i quali poi hanno delle qualità dispiacevoli, e degli brutti, all'incontro, i quali hanno in essi certe grazie date dal Cielo, le quali gli fanno amabili e graziosi a chi gli prattica, sì come particolarmente parea che regnassero in Bertoldo mio consorte.

Erminio.  Voi dite la verità. Ma ditemi, di grazia, avete voi alcun figliuolo di lui?

Marcolfa.  Io n'ho uno, ma non l'ho.

Erminio.  Come l'avete, se non l'avete?

Marcolfa.  Quando esso è in casa posso dire che io l'abbia; ma ora che egli è fuora, posso dire di non averlo altrimenti.

Erminio.  E dove si ritrova ora questo vostro figliuolo?

Marcolfa.  Domandatelo alle sue scarpe, le quali vanno seco per tutto.

Erminio.  Per donna di montagna voi siete molto arguta.

Marcolfa.  Egli è segnale ch'io sono stata sotto un buon maestro.

Erminio.  Sì, certo. Orsù, madonna mia, io vi faccio intendere come il Re nostro signore ci manda a cercarvi ambidue, ché, per la gran benivolenza ch'esso portava a Bertoldo vostro marito, esso vuole tenervi appresso e far vostro figliuolo uno de' primi della sua corte; però venite fuora sicuramente, che vi potiamo parlare con più commodità.

Marcolfa.  Eccomi, che cosa volete voi dirmi?

Erminio.  Che cosa avete voi di buono da pransare?

Marcolfa.  Chi cerca saper quello che bolle nelle pentole altrui, ha leccate le sue.

Erminio.  Voi siete una maliziosa femina.

Marcolfa.  Quest'aere sottile porge così. Ma poiché bramate sapere quello che io mi trovo da mangiare, io ve lo dirò: io tengo in questa pentoletta quattro erbe selvatiche senza sale.

Erminio.  Quattro erbe senza sale, ohimè, or come potete voi mangiarle?

Marcolfa.  L'appetito è condimento delle vivande, e però la nostra mensa viene a esser più lauta e sontuosa assai che quella del Re vostro, perché sopra questi alpestri monti la fame sempre precede alla digestione, e l'esercizio provoca la detta fame, e il digiuno fa i cibi saporiti e buoni, e la sete fa l'acque dolcissime e delicate.

Erminio.  Veramente a questo vostro parlare si vede che siete stata discepola di esso Bertoldo, dalla cui bocca mai non uscì fuori parola che non fosse piena di sentenze. Ma, ditemi, come faremo noi a vedere questo vostro figliuolo?

Marcolfa.  Aprite gli occhi come esso viene, e lo vedrete, se non siete ciechi.

Erminio.  Orsù, tanto faremo; ma intanto che noi l'aspettiamo, ci fareste un piacere menarci un poco nella vostra cantina a bere, ché, dapoi che cavalchiamo costà su questi monti, mai non abbiamo bevuto.

Marcolfa.  Di grazia, i miei signori, venite pure con essa meco.

 

 

 

 




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