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Giulio Cesare Croce
Bertoldo e Bertoldino (Cacasenno di A. Banchieri)

IntraText CT - Lettura del testo

  • Le piacevoli e ridicolose semplicità di Bertoldino. figliuolo del già astuto e accorto Bertoldo con le sottili e argute sentenze della Marcolfa sua madre e moglie del già Bertoldo   Opera tanto piena di moralità quanto di spasso
    • Bertoldino si maraviglia di quelle genti a cavallo, che mai più non ne avea veduto, e dice:
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Bertoldino si maraviglia di quelle genti a cavallo, che mai più non ne avea veduto, e dice:

 

Bertoldino.  Che genti e che bestie attaccati insieme sono queste, mia madre, che parlano qua con essa voi?

Erminio.  Costui ci ha dato delle bestie sulle prime.

Marcolfa.  È signale che vi ha conosciuti da discosto. Orsù, vieni pur innanzi, che questi gentiluomini ti vogliono parlare.

Bertoldino.  I gentiluomini sono dunque mezzo uomini e mezzo cavalli?

Erminio.  Bèccati su quest'altra, quasi che voglia dire che siamo mezzo uomini e tutto il resto cavalli.

Marcolfa.  Non vuol dir così altrimenti, ma dice questo perché vi vede sopra quei cavalli, cosa ch'esso non ha veduto fin ora in questi luoghi, e si è pensato che voi e le bestie dove sedete suso, siate tutti una cosa.

Erminio.  Orsù, questo non ci fastidio; fatelo pur venire innanzi.

Bertoldino.  O quante gambe hanno costoro, e n'hanno sei per uno! O quanto devono correre forte!

Marcolfa.  Quelle quattro che toccano terra sono quelle del cavallo, e le dua che pendono dai lati sono le sue di loro.

Bertoldino.  Questi animali, che mangiano il ferro, deono aver le budelle di piombo.

Erminio.  Sì, e' l'hanno di stagno. O quest'è il bel barbagianni, e non vuol già somigliarsi al padre, ch'esso era accortissimo e d'acuto ingegno, e costui fin ad ora mostra di essere una delle gran pecore che vadino in beccaria. O quanto spasso vuole aver il Re di questo cucco dispennato, se lo potiamo condurre a lui! Orsù, Bertoldino, poniti all'ordine, che bisogna che tu vegni con essi noi.

Bertoldino.  E dove mi volete voi menare?

Erminio.  Alla corte del Re nostro signore.

Bertoldino.  A che fare? A stare per gentiluomo con un servitore?

Erminio.  Sì bene, ah ah ah! Oh che dolce sempliciotto è questo!

Bertoldino.  E quella corte è maschia o femina; sta ella a terreno, o a tassello?

Erminio.  Ella starà dove vorrai tu. Vientene pur via allegramente, che te felice se saprai conoscere la tua buona ventura.

Bertoldino.  Di che panni va ella vestita questa buona ventura, acciò che io la possa conoscere come io la veggio? Ditemelo un poco.

Erminio.  Ella va vestita d'oro e d'argento e pietre preciose, delle quali tu ancora sarai riccamente vestito, e praticherai fra dame e cavalieri, da' quali sarai onorato e riverito come gentiluomo principale del nostro Re.

Bertoldino.  Potrò io poi menare le mie capre nella sala del Re quando mi parerà?

Erminio.  Sì, sì, vien pur via, né dubitare di nulla; e voi, madonna, ch'io non so il vostro nome.

Marcolfa.  Marcolfa mi chiamo.

Erminio.  Madonna Marcolfa, se volete venire ponetevi ancor voi all'ordine quanto prima, e aviamoci.

Marcolfa.  Tanto è ordine ch'io lasci mai questo tugurio, ancor ch'esso sia di pali e di terra, quant'è ordine che i villani lascino mai le malizie loro; anzi bramo che quanto prima voi ve n'andiate di qua, perché l'aria de' monti non si confà con quella del piano; e ancora vi prego a non volermi privare di questo figlio, attento ch'egli senza di me non camparebbe al mondo quattro giorni, essendo composto di materia grossa e leggiero di cervello, a tale ch'egli sarebbe il babuino di corte, e si sa che nelle corti non vi voglion simili garzotti, ma genti astute e accorte, che sappino bene il fatto loro.

 

Erminio.  Quello che lui non saprà se gli insegnarà, né vi mancheranno maestri che lo disciplinaranno e che gli daranno le buone creanze. Lasciate pur che venghi con noi, e non vi dubitate di nulla.

Marcolfa.  Che dici, Bertoldino, ci vuoi tu andare, o no?

Bertoldino.  Se venite ancor voi io mi vi lascierò ridurre, altramente io non voglio partirmi di qua su.

 

 

 

 




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