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Giulio Cesare Croce Bertoldo e Bertoldino (Cacasenno di A. Banchieri) IntraText CT - Lettura del testo |
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Bertoldino impronta il mostaccio al Sartore con un castagnaccio, ed esso tutto colerico dice:
Sartore. O ti venga il cancaro, porcaccio! Mira come tu m'hai concio il mostaccio! Ohibò, possi tu creppare! Bertoldino. Non te l'ho io detto prima, ch'io non starei al segno, perché tu mi stringevi troppo la gola? Lasciami pur un poco i miei panni vecchi a me, ch'io non voglio che tu mi ficchi in quelle sacchette, ch'io mi vi affogherei dentro. Sartore. Orsù, insomma il villano, o alla città o alla villa ch'egli si sia, sempre conviene ch'esso mostri la sua villania, perché mai non si cavarebbe la rana del pantano. Piglia gli tuoi panni e vestiti a tuo modo, ché, a voler vestir te nobilmente, è proprio un volere mettere la sella a un porco; e qui ti lasso con il malanno che ti pigli, ch'io voglio andare a lavarmi il mostaccio. Così il sartore, col grugno tutto impiastrato di pasta di castagne, se n'andò a casa borbottando a lavarsi il volto; poi fece la relazione al Re di quanto gli era avvenuto. Il qual udendo ciò fu quasi per iscoppiare di ridere, e poi gli mandò un altro sartore, il qual gli fece un abito alquanto più largo, e alla Marcolfa fece fare medesimamente una zimarra di buon panno fino, e poi così vestiti gli fece condurre dalla Regina, la quale mirando quei due mostacci contrafatti non poté fare che non desse nelle risa; la qual cosa vedendo la Marcolfa, dopo avergli fatto una riverenza così alla grossolana, e salutatola all'usanza di montagna, disse queste parole:
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