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Giulio Cesare Croce
Bertoldo e Bertoldino (Cacasenno di A. Banchieri)

IntraText CT - Lettura del testo

  • Le piacevoli e ridicolose semplicità di Bertoldino. figliuolo del già astuto e accorto Bertoldo con le sottili e argute sentenze della Marcolfa sua madre e moglie del già Bertoldo   Opera tanto piena di moralità quanto di spasso
    • Il Re. dona un podere fuora della città a Bertoldino e a sua madre.
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Il Re. dona un podere fuora della città a Bertoldino e a sua madre.

 

Mentre essi ragionavano insieme, Bertoldino e sua madre, il Re, ch'avea avuto assai solazzo, tanto della pecoraggine di lui quanto dell'acutezza dell'ingegno di lei, li fece montare con esso suso una carroccia e, conduttogli fuor della città due tratti di mano, gli diede in dono un bellissimo podere, con un nobile palazzo e un ameno giardino con peschiera e fontane, boschetti, vigne e altre cose deliciose, dicendo alla Marcolfa:

Re.  Perché, essendo voi usati alla vostra libertà, vi pare forse di essere imprigionati qua dentro la città, ecco io vi faccio libero dono di questo bel palazzo che vedete, con questo podere, giardino, peschiera, fontana e quanto si contiene sotto di lui; con patto però che tu, Bertoldino, ti lasci vedere ogni giorno una volta da me. Entrate dunque in questo palazzo, il qual è fornito di quanto occorre, e, se nulla vi mancherà, io vi farò fare provisione di tutto.

Marcolfa.  Per mille volte io ringrazio la tua gran magnanimità, o benignissimo Re, e conosco certo che ciò non viene per merito alcuno che sia in noi, poiché io, come femina nata e allevata in paese ruvido e selvaggio, non mi trovo aver qualità alcuna in me la quale sia da praticare in questi luochi regi, ma sì bene fra montuose rupi e scoscese ruine, ove non alberganocreanze, né virtù alcuna. Parimente questo mio bamboccio, il quale non so s'egli sia di stucco over di sambuco, tanto è goffo e balordo, ch'io non so a quello ch'ei si possa servire se non far ridere il volgo, altro da lui non credo si possa aspettare; perché d'un'acqua così dolce è uscito un pesce così amaro, cioè che d'un padre tanto accorto e di sottile ingegno, come era Bertoldo, sia uscito un figliuolaccio tanto stupido com'è questo, il quale, quando si vuol levare la mattina, non sa se si metta giù del letto i piedi prima, o la testa.

Re.  È vero questo, Bertoldino? Tu non rispondi. Olà, tu tienistretta la bocca.

Marcolfa.  Io gli ho fatto precetto che la tenghi così serrata.

Re.  Per che causa volete ch'ei la tenga così?

Marcolfa.  Perché esso mi ha addimandato se a vostra Maestà si del messere o del maestro, e io gli ho detto ch'egli dirà ben ogni cosa se mai non aprirà la bocca, perché sempre parla alla riversa.

Re.  Io mi credevo ch'esso avesse fatto qualche gran fallo, ma questo non è errore alcuno, anzi a me piacciono altro tanto, e più, queste sorti d'umori semplici prodotti dalla natura, che quelli che fanno i semplici e i goffi artificiosamente, anzi pur maliziosamente, per così dire. Orsù, parla, Bertoldino, ch'io ti do licenza che dici. Apri la bocca.

Bertoldino.  Mia madre vuole ch'io la tenghi serrata.

Marcolfa.  Orsù parla pur su, ch'io ti do licenza; ma guarda dire delle tue. Che dirai qui al nostro Re? Di' su.

Bertoldino.  Io vorrei quanto prima ch'ei si partisse di qua.

Marcolfa.  Ah, ribaldo, queste son cose da dire a un nostro Signore, il qual ci haffatto tanti benefici? E perché vuoi tu ch'ei se ne vada?

Bertoldino.  Perché mentre egli sta qui io non posso andar a merenda.

 

Marcolfa.  Udite che bella creanza, Signore. Vi pare che questo sia per riuscire buon cortegiano? Oh zucconaccio da semente, in iscambio di render grazie a vostra Maestà del gran dono ch'ella ci haffatto, ei brama che gite via per andare a merenda.

Re.  Egli ha molto ben ragione; io non l'ho mica per balordo in questo fatto. Orsù, io me ne vado. Restate in pace, e ricordati di venire ogni giorno una volta a vedermi: hai tu inteso?

Bertoldino.  Signor messer maestro sì. Ma, ditemi, chi è più lungo: il giorno della città, o quello della villa?

Re.  Tanto uno quanto l'altro; vieni pur via allegramente.

Marcolfa.  Odi quest'altra: s'è più lungo il giorno della villa che quello della città. Oh cavallaccio che sei! Orsù non dubitate, Signore, che io lo mandarò ogni giorno da lei.

Re.  Orsù mi raccomando, Bertoldino. A rivedersi, madonna Marcolfa.

Marcolfa.  Gite in pace, serenissimo Signore, che il Cielo vi dia ciò che desiderate.

 

 

 

 




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