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Giulio Cesare Croce Bertoldo e Bertoldino (Cacasenno di A. Banchieri) IntraText CT - Lettura del testo |
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Bertoldino si caccia la cura in gola e le pillole per dissotto, e la Marcolfa dice:
Marcolfa. Ohimè, che fai tu, bestia? Férmati, che elle non vanno tolte a quella foggia. O meschina me! Quello che va di sotto, tu lo metti al contrario. Bertoldino. E lasciate fare a chi sa. Credete voi ch'io sia pazzo? Siete voi, che non avete ben inteso il medico. Volete ch'io mi cacci di dietro questa cosa qual è tutta coperta di mèle? O, io sarei il bel balordo. Ella va tolta per bocca, e queste pallotte giù a basso; ho ben cervello ancor io. Così la Marcolfa ben puote gridare a sua posta, che il sempliciotto tranguggiò quella cura e si pose le pillole nel taffanario; ma quasi se ne pentì, perché quella cura così melata gli s'impastò nella gola, né voleva andar né su né giù, onde fu quasi per affogarsi, e voltava gli occhi come uno spiritato; onde la Marcolfa, vedendolo a tal partito, subito mandò a chiamare il medico, il quale, venuto per commandamento della Regina, gli diede non so che a bere, che gli fece saltar fuora della gola quella cosa con tanta furia, che il povero medico non potendosi schivare a tempo, ella gli venne a dare in un occhio un colpo tale che fu per cavarglielo, e gli impiastrò tutta la barba con altra robba che gli venne dietro; a tale che il meschino durò fatica a nettarsi, con tutto ciò che si lavasse assai volte, e se ne tornò a casa tutto colerico, maledicendo i pazzi e ancora chi gli aveva inviato quella bestia.
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