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Giulio Cesare Croce
Bertoldo e Bertoldino (Cacasenno di A. Banchieri)

IntraText CT - Lettura del testo

  • Le piacevoli e ridicolose semplicità di Bertoldino. figliuolo del già astuto e accorto Bertoldo con le sottili e argute sentenze della Marcolfa sua madre e moglie del già Bertoldo   Opera tanto piena di moralità quanto di spasso
    • Bertoldino in cinque volte non sa dir salamo.
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Bertoldino in cinque volte non sa dir salamo.

 

Bertoldino.  Del lassamo, e del pane.

Regina.  Di che?

Bertoldino.  Del samallo.

Regina.  Io non t'intendo.

Bertoldino.  Del malasso.

Regina.  Peggio che peggio.

Bertoldino.  Dico ch'io ho mangiato del lamasso, io parlo pur ancora schietto, e torno a dire che io ho mangiato del massallo: voi m'avete pur inteso a questa volta.

Regina.  Che nomi sono questi di lassamo, samallo, malasso, lamasso e massallo? Io non capisco quello che si voglia dir costui, né credo che l'intendesse il bene intendi.

Filandro.  Esso vuol dire del salamo, serenissima Signora. Miri vostra Maestà se questo è un zuccon da friggere della buona fatta, a non poter dire in cinque volte salamo. Se la Regina rise di simil fatto, lo lascio pensare; e intanto giunse il Re e, inteso la causa di ciò, si diede a rider di tal sorte, che alle risa di lui rideva tutta la corte, e durò tal ridere tutto quel giorno, e talmente gli entrò in bocca quelle parole di lassamo, di samallo, di malasso, di lamasso e massallo, che quando volevano del salamo essi ancora, pareva che non sapessero più dire se non lassamo e samallo e malasso, lamasso e massallo, e durò parecchi giorni simil cosa. Fece poi il Re condurre Bertoldino a casa in carroccia; dove arrivato, la Marcolfa disse:

Marcolfa.  Che cosa hai veduto nella città, Bertoldino, che più ti piaccia?

Bertoldino.  La pentola della cucina del Re.

Marcolfa.  Perché la pentola della cucina del Re?

Bertoldino.  Perché ella deve tenere più di cento minestre, tanto ha ella larga la pancia.

Marcolfa.  Sempre tu pensi al mangiare.

Bertoldino.  Chi non pensa al mangiare non pensa a vivere, e io so, se non mangiassi, che io morirei.

Marcolfa.  Orsù, tu dici la verità; ma, dimmi un poco, che hai imparato di bello in corte?

Bertoldino.  Io ho imparato di andare su e giù per le scale del palazzo del Re da mia posta.

Marcolfa.  Sei stato un grand'uomo certo, e mostri avere un gran cervello.

Bertoldino.  Ditemi, mia madre, le anitre sono elle oche?

Marcolfa.  Sì, sì. Orsù, va' pur, dormi un sonno, che a punto tu dài alle oche con questa tua pecoraggine.

Bertoldino.  Io vi volevo domandare una cosa ancora, e me l'era quasi scordata.

Marcolfa.  Che cosa è questa, che mi vuoi dimandare? Di' su.

Bertoldino.  Quando voi mi facesti, ci eravate voi?

Marcolfa.  Ohimè, non mi rompere più il capo, ch'io son tanto fastidita del fatto tuo, che io non posso sentirti.

Bertoldino.  O state a sentire se questa è bella. Mentre che io stava in camera della Regina, io mi son accorto ch'ella non ha più che due gambe, e la nostra vacca ne ha quattro. Or che ne dite voi?

Marcolfa.  Che vuoi tu ch'io dica? Io dico che quando ti feci avrei fatto meglio a fare una buona torta.

Bertoldino.  Fuss'egli pure stato vero, che n'avresti dato un pezzo a me ancora.

 Così con questi ragionamenti venne la sera, e se n'andarono a letto; poi la mattina si levarono, e la Marcolfa disse voler andare alla città a comperar del sale e altre cose necessarie per la casa, e sopra il tutto raccomandò i pulcini a Bertoldino, che ne avesse cura accioché il nibbio non gli furasse. Partita la Marcolfa, Bertoldino prese tutti i detti polli e gli legò per un piede ciascheduno di loro, e fattone una lunga filza ne pose un bianco in capo di tutti, poi gli mise in mezzo l'ara, ed esso ritiratosi sotto il portico stava poi a veder quello che ne doveva succedere. Ed ecco il nibbio, che comincia a girare attorno alla casa e a fare il varco, calando a poco a poco sopra i detti pulcini, e vedendo quel bianco, che faceva più bella vista delli altri, si calò adosso a quello e, dandogli di becco, lo levò in aria con tutti gli altri che vi erano attaccati; e Bertoldino ridendo forte gridava: “Tira il bianco, tira il bianco, che tu averai quelli altri ancora!” Così il nibbio si portò via tutti i pulcini, e, tornata che fu la Marcolfa dalla città, Bertoldino gli andò incontro ridendo, ed ella disse:

Marcolfa.  Che cosa hai, che tu ridi? Vi è qualche cosa di nuovo?

Bertoldino.  O mia madre, io ho pur avuto il bel piacere, e quando voi saperete il perché, riderete ancor voi.

Marcolfa.  Orsù, questa sarà stata una delle tue. E che piacere è stato questo tuo?

Bertoldino.  O il bel piacere, o il bel piacere! Mia madre, di grazia, cominciate a ridere.

Marcolfa.  Di che vuoi ch'io rida, di', buffalo, se io non so quello che tu dica?

Bertoldino.  Sapete i nostri polli?

Marcolfa.  Sì, ch'io lo so.

Bertoldino.  Io ho fatto una burla al nibbio.

Marcolfa.  Oh, il Cielo mi aiuti! E che burla è stata questa?

Bertoldino.  Io li ho legati l'uno con l'altro in una lunga filza, ed è venuto il nibbio, e gli ha portati via tutti in una botta, che ha durato una fatica la maggior del mondo, e io tenevo gridato: “Tira il bianco, tira il bianco, che tu averai tutti gli altri ancora!” perché io avevo messo quel bianco in capo della filza, e se voi gli avesti veduti saresti creppata dalle risa, a vedere quell'uccellaccio, che a pena poteva portar via tanta brigata in una volta. Or che ne dite voi? Non ci ho fatto io stare quell'uccellaccio?

Marcolfa.  Uccellaccio sei tu, bestia, balordo. Dunque tu hai lasciato portar via i polli al nibbio? Io non so che mi tenghi ch'io non ti pigli pel collo e ch'io non t'affochi. O re Alboino, tu mostri bene di essere balordo affatto, a compiacerti d'un pazzo com'è questo. Or qui chiaramente si vede che non giova aver virtù, né creanza, ma sorte sola. Mira, di grazia, quanta stima fa questo pazzo di re (che pur dirò così) di questo cavallaccio da pistrino. Insomma, ognuno ha qualche ramo di pazzia, e io son più che sicura che quando il Re saprà questa castronaggine, che in iscambio di fargli qualche riprensione, e anco di farlo bastonare, ch'esso ne averà grandissimo piacere e gli manderà a donare qualche bel presente. O vatti mo' consuma sui libri, povero filosofo, che ne trarrai una bella mercede, poiché si vede che in questa corte più vien stimato e premiato un sciocco e balordo montanaro, che cento uomini dotti e sapienti. Orsù, il mondo va così adesso. Ma dimmi dov'è la chioccia?

Bertoldino.  Ella è serrata nel pollaio, perché non impedisca il nibbio che possa portar via i pulcini, com'haffatto. Credete voi ch'io sia balordo?

Marcolfa.  Orsù (pur pazienza) va' in casa, che in vero tu sei un astuto giovine; ma se questa cosa va all'orecchie del Re, che pensi tu che egli dirà, balordo mentecato che tu sei?

Bertoldino.  E chi volete voi che glielo dica?

Marcolfa.  Forse che non sono qui intorno delle orecchie che ci odono?

Bertoldino.  Io non veggio altro che l'asino dell'ortolano, io; il quale appunto pare che ci stia ascoltare. Vedete come egli tiene l'orecchie tese? Ma gli provederò ben io adesso adesso.

 

 

 

 




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